«Nonostante la pandemia, l’Unione europea non ha ancora compreso in pieno il valore della salute come investimento, lo considera semplicemente un costo da contenere». Marcello Cattani (nella foto), presidente di Farmindustria e amministratore delegato di Sanofi Italia, intervistato lunedì 17 giugno dal Corriere della Sera ha lanciato l’allarme sui rischi di perdita di competitività dell’industria farmaceutica. Parliamo di un settore che al momento fa numeri record: è il settore di punta per l’export e produce il più alto valore aggiunto per dipendente.
Tra le criticità che Cattani mette in evidenza, l’aumento dei costi di produzione: «avremo difficoltà a produrre certi farmaci. La terapia mensile con alcuni farmaci neurolettici, o per il colesterolo, l’ipertensione, oppure certi antibiotici, che sono di grandissima diffusione, viene rimborsata dal SSN al prezzo di un caffè».
Al governo, Farmindustria chiede di ridurre i costi a carico delle imprese e un ripensamento del tetto della spesa farmaceutica ospedaliera. E di superare il meccanismo del pay-back.
Cattani è inoltre critico con la UE per la proposta della direttiva dei brevetti: «I Paesi nostri principali concorrenti, come USA e Cina, stanno facendo la cosa opposta, hanno reagito rafforzando la proprietà intellettuale per favorire la ricerca e sviluppo. L’ Europa ha preso la strada contraria, proponendo di ridurre la durata della data protection da 8 a 6 anni. Non possiamo curare tutte le patologie con i generici, non andremmo avanti nella ricerca e negli investimenti. Il generico vive se prima c’è il farmaco branded. Non si può avere l’innovazione senza gli investimenti».
Se la UE non inverte la rotta, conclude Cattani: «L’industria europea perderà competitività e noi saremo i primi a pagarne le conseguenze perché siamo i più forti. Oggi l’Italia esporta 49 milioni di euro di farmaci, il 97% della produzione nazionale, ha superato la crescita dell’export degli Stati Uniti, ma se non cambia la strategia tra pochi anni dipenderemo da India e Cina e avremo disperso un patrimonio immenso di conoscenze. Si rischia di pregiudicare l’accesso dei cittadini alle cure e la ricerca si sposterà dove si realizzano i grandi investimenti».