Nino Cartabellotta (nella foto), il presidente di Fondazione Gimbe, lo ripete da anni come un mantra e ne ha fatto anche un hashtag a uso social: salviamo il Ssn. E ogni anno con il suo “Rapporto sul Servizio sanitario nazionale” fa il punto della situazione e non si può dire che sia un punto all’insegna dell’ottimismo.
In quello appena pubblicato i punti salienti sono i seguenti:
– 5 milioni di persone hanno rinunciato alle cure nel 2023, di cui 2,5 milioni per motivi economici;
– un divario di 889 euro di spesa sanitaria pubblica pro capite rispetto alla media dei Paesi Ocse in Europa per un totale di 52,4 miliardi di euro;
– tra il 2010 e il 2019, sono stati sottratti 37 miliardi di euro alla sanità pubblica, compromettendo gravemente il sistema;
– la spesa diretta delle famiglie è aumentata del 10,3% solo nel 2023.
Spesa sanitaria pubblica e privata
Il tema su cui batte la Fondazione è quello della spesa sanitaria pubblica non all’altezza delle necessità di una popolazione che invecchia. Il punto di partenza è che le somme destinate di anno in anno al Fondo sanitario nazionale (Fsn) non vanno considerate in termini assoluti ma in relazione al Pil del singolo Paese. E in questo senso l’Italia è sotto la media Ocse e, restando in Europa, nettamente sotto le percentuali delle economie più avanzate come Germania e Francia. Per intenderci, la spesa italiana si attesta al 6,2% del Pil, mentre la media Ocse è del 6,9% e quella dell’Unione Europea del 6,8%.
Non solo, ma le prospettive sono di un ulteriore contenimento: «Dal punto di vista previsionale, il Piano Strutturale di Bilancio di medio termine (2025-2029), approvato il 27 settembre 2024, peggiora il quadro tendenziale della spesa sanitaria rispetto al Def 2024: il rapporto spesa sanitaria/PIL scende, passando dal 6,3% del biennio 2024-2025 al 6,2% nel periodo 2026-2027».
Il Rapporto distingue tra un decennio, 2010-2019, nel quale la sanità pubblica è stata fortemente ridimensionata: «Durante la stagione dei tagli (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi, con un aumento complessivo del Fsn di soli 8,2 miliardi in 10 anni, pari a una crescita media dello 0,9% annuo, un tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,15%)».
E gli anni successivi, nei quali, in ragione dell’emergenza pandemica, si è ricominciato a investire. Ma si è trattato di investimenti straordinari, non di interventi strutturali: «Negli anni della pandemia (2020-2022) il Fsn è cresciuto complessivamente di 1,6 miliardi, con una media del 3,4% annuo, segnando formalmente la fine dei tagli. Inoltre, tra marzo 2020 e settembre 2022 sono stati emanati 13 decreti legge che hanno stanziato complessivamente 11.584,3 milioni per la gestione dell’emergenza Covid-19 e per sostenere i maggiori costi energetici: di questi, 5.506 milioni hanno incrementato il Fsn, mentre 6,078,3 milioni sono stati destinati ad altre spese legate all’emergenza. Tuttavia, questo netto rilancio del finanziamento pubblico è stato assorbito dai costi della pandemia, senza consentire un rafforzamento strutturale del Ssn e senza riuscire a mantenere in ordine i bilanci delle Regioni».
Altra nota dolente messa in luce dalla Fondazione: l’entità della spesa sanitaria privata. Se guardiamo al 2023 la spesa sanitaria complessiva ammonta a poco più di 176 miliardi di euro: per il 74% si tratta di spesa pubblica. Il resto è spesa privata, così suddivisa: 40 miliardi di spesa out of pocket e poco più di 5 miliardi di spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni: «Complessivamente, l’88,6% della spesa privata è a carico dei cittadini mentre l’11,4% è intermediata. Rispetto al 2022, l’aumento della spesa sanitaria totale (+2,5%) è stato sostenuto esclusivamente dalla spesa out-of-pocket (+10,3%) e da quella intermediata».
Numeri che fanno intendere come le carenze della sanità pubblica finiscano con il gravare sui bilanci delle famiglie, che devono ricorrere alle prestazioni private, oppure rinunciarvi del tutto, come evidenziano recenti indagini sul rapporto tra cittadini e servizi sanitari.
Come uscirne?
Nel nono e ultimo capitolo del dettagliatissimo Rapporto, Gimbe articola un “Piano di rilancio del Ssn” che riassume le posizioni prese negli ultimi anni. Alla base di tutto maggiori investimenti pubblici in sanità: «Aumentare in maniera progressiva e consistente il finanziamento pubblico per la sanità per allinearlo alla media dei Paesi europei, al fine di garantire il rilancio delle politiche del personale sanitario, l’erogazione uniforme dei Lea e l’equità di accesso alle innovazioni».
Perché è sbagliato dire – ribadisce spesso Cartabellotta – che «i soldi non ci sono» ed è quindi utopistico chiedere fondi ingenti per la sanità. La politica deve decidere quali sono, nella guida di un Paese come il nostro, le priorità: se si investe poco in sanità significa che non la si ritiene una priorità nazionale.
Fermo restando che, secondo Gimbe, occorre lavorare molto anche sull’aspetto organizzativo, in modo da ridurre il gap di qualità dei servizi esistente tra Regione e Regione.