L’impatto della pandemia da Covid-19 sulla sanità italiana ha un’onda lunga: in un momento in cui la fase emergenziale sembra essersi placata, emergono le difficoltà relative alle patologie trascurate, sia in termini di prevenzione sia come accessibilità alle cure. Secondo il “Rapporto civico sulla salute. I diritti dei cittadini e il federalismo in sanità”, presentato da Cittadinanzattiva, in alcune zone d’Italia ci sono quasi quasi due anni di attesa per una mammografia, circa un anno per una ecografia, una tac, o un intervento ortopedico. Gli screening oncologici sono in ritardo in oltre la metà dei territori regionali e coperture in calo per i vaccini ordinari.
Farmacisti pronti a rafforzare la sanità territoriale
«Durante la pandemia abbiamo fatto i conti con una assistenza sanitaria che, depauperata di risorse umane ed economiche, si è dovuta concentrare sull’emergenza, costringendo nel contempo le persone a “rinunciare” a programmi di prevenzione e di accesso alle cure ordinarie», ha dichiarato Anna Lisa Mandorino (nella foto), segretaria generale di Cittadinanzattiva. «Ancora oggi abbiamo la necessità di recuperare milioni di prestazioni e i cittadini devono essere messi nella condizione di tornare a curarsi. Allo stesso tempo la pandemia ha evidenziato anche alcune priorità di intervento, prima fra tutte quella relativa alla riorganizzazione dell’assistenza territoriale, oggetto di riforma con il Pnrr e di acceso dibattito». Sono le liste d’attesa – una criticità del nostro Ssn già prima della pandemia – che durante l’emergenza hanno rappresentato la principale criticità per i cittadini, in particolare per i più fragili, che di fatto non sono riusciti più ad accedere alle prestazioni.
I lunghi tempi di attesa sono riferiti nel 53,1% di casi agli interventi chirurgici e agli esami diagnostici, nel 51% alle visite di controllo e nel 46,9% alle prime visite specialistiche. Seguono le liste d’attesa per la riabilitazione (32,7%) per i ricoveri (30,6%) e quelle per attivare le cure domiciliari-Adi (26,5%) e l’assistenza riabilitativa domiciliare (24,4%).
In questo contesto, «i farmacisti rivestono un ruolo fondamentale per la costruzione di un Servizio sanitario più equo e più vicino al cittadino, contribuendo a dare una risposta alle principali criticità e disuguaglianze nell’accesso all’assistenza sanitaria, emerse con forza durante la pandemia», ha commentato Andrea Mandelli, presidente della Fofi in occasione della presentazione del Rapporto. «Durante la pandemia i farmacisti hanno dato prova di essere gli operatori più accessibili ai cittadini e di poter ricoprire un ruolo chiave per implementare l’attività di prevenzione ed educazione sanitaria». Quanto alle cure di prossimità, per rilanciarle «non serve creare nuove infrastrutture, ma occorre puntare su quei professionisti che già oggi sono il punto di riferimento dei cittadini e che operano in sinergia all’interno della rete degli operatori sanitari del territorio delineata dal Dm 71. I farmacisti sono pronti a rispondere alla sfida lanciata dalla sanità italiana di rafforzare l’assistenza territoriale per realizzare una vera centralità del paziente e un riconoscimento più effettivo del diritto alla salute».
Nel Rapporto emergono difficoltà anche nell’accesso alla vaccinazione per il Covid-19. Il 19,7% delle segnalazioni ricevute (sul totale di 13.748) riguarda proprio le difficoltà d’accesso sia alle vaccinazioni Covid (75,7%), sia a quelle ordinarie (15,6%) e agli screening oncologici (8,7%). Il documento fa poi una prima analisi delle Case di comunità (Cdc): i cittadini si dimostrano poco informati ma aperti alla novità delle purché non si intacchi la consolidata relazione medico-paziente a cui i cittadini tengono in modo particolare.
In Italia, dunque, si sta assistendo all’attuazione della riforma dell’assistenza territoriale come prevista dal Pnrr, con un coinvolgimento delle associazioni, civiche e di pazienti, del tutto insoddisfacente. Il Pnrr prevede 1.350 Case di Comunità, vale a dire in media una ogni 18.069 persone con patologia cronica. Inevitabili risultano le disparità territoriali: si va da una Casa ogni 12.428 malati cronici in Calabria a una ogni oltre 23.000 malati cronici in Emilia-Romagna, Liguria e Valle d’Aosta.
Infine, in tema di sanità digitale, prima dell’emergenza il livello di utilizzo della telemedicina superava di poco il 10%, durante l’emergenza ha superato il 30% per molte applicazioni. Il servizio più utilizzato è il teleconsulto con medici specialisti (47% degli specialisti e 39% dei Mmg), che raccoglie l’interesse per il futuro di 8 medici su 10. Seguono, in termini di utilizzo durante l’emergenza, la televisita (39% degli specialisti e dei Mmg) e il telemonitoraggio (28% e 43%).
I servizi di telemedicina sono, invece, ancora poco utilizzati dai pazienti, non tanto per la mancanza di interesse, ma a causa dell’offerta ancora limitata. I pazienti dichiarano che la modalità più utilizzata per monitorare a distanza il loro stato di salute è una semplice telefonata oppure una videochiamata di controllo (23%).