Laurea in Farmacia, le novità. Ma gli sbocchi professionali? Il punto con Gianni Sacchetti (Università di Ferrara)

Laurea in Farmacia, le novità. Ma gli sbocchi professionali? Il punto con Gianni Sacchetti (Università di Ferrara)

Negli ultimi anni, i corsi di laurea in Farmacia hanno registrato un significativo calo di iscrizioni, con una diminuzione di oltre 1.000 studenti rispetto a cinque anni fa. Per comprendere le implicazioni di questa tendenza e analizzare le prospettive professionali, PharmaRetail ha intervistato Gianni Sacchetti (nella foto), presidente del corso di laurea in Farmacia dell’Università di Ferrara.

Professore, le norme recentemente varate sulla laurea abilitante e sulla riforma del corso di laurea in Farmacia quali vantaggi possono comportare?

Si tratta di vantaggi accademici e professionali insieme. Chi oggi si laurea in Farmacia può accedere direttamente al lavoro dietro al banco, in una farmacia o in una parafarmacia, esercitando la funzione tradizionale del consiglio ai cittadini. Non esiste più l’esame di abilitazione, è sufficiente superare la prova pratico-valutativa successiva al tirocinio curriculare.

 

Con conseguenze anche sulla articolazione del corso di studi…

Proprio così. La laurea abilitante ha comportato un rinnovamento non tanto nei contenuti del corso di studi, che comunque sono sempre aggiornati, quanto nelle modalità di erogazione della didattica, con una maggiore attenzione non soltanto alla farmacia dei servizi ma anche a quella che si suole definire farmacia clinica. Guardando ancora oltre si dovrebbe pensare a istituire anche in Italia una nuova figura professionale, quella del farmacista di corsia.

 

Ce ne parla?

Si tratta di una figura già presente in alcuni sistemi sanitari: non più un farmacista che dispensa solo farmaci, sul territorio o in ospedale, ma un farmacista che affianca il medico nella prescrizione. Ricerche effettuate su contesti in cui questa figura esiste già, come nel Regno Unito, hanno dimostrato che il farmacista di corsia può contribuire alla riduzione degli errori di prescrizione, in ambito ospedaliero, nella misura del 30%.

 

In Italia c’è stata soltanto qualche sporadica sperimentazione, a livello locale.

Esatto, qualcosa si è provato, per quanto mi risulta, in Toscana e in Friuli-Venezia Giulia, ma è una strada che bisognerebbe percorrere. Un modo, tra l’altro, per unire le competenze di farmacisti e medici a tutto vantaggio del paziente, creando un valore aggiunto, in termini assistenziali, su cui finora non si è mai davvero puntato.

 

Prospettive che ci fanno pensare a un bagaglio professionale sempre più ricco, ma che contrastano con una realtà nella quale il corso di laurea in Farmacia sembra perdere di attrattività…

Ecco, qui voglio manifestare il mio dissenso verso quella che considero una valutazione errata. L’attrattività esiste eccome, alla luce della riforma di cui il corso di laurea è stato fatto oggetto.

 

E quindi?

E quindi bisogna evitare i luoghi comuni, sottolineando, per prima cosa, che la questione demografica in Italia è molto rilevante: il calo della popolazione non può che avere dei riflessi anche in ambito universitario. Ma poi ci sono i numeri su cui bisogna riflettere: dal 2017 a oggi abbiamo perso circa il 25% degli iscritti a Farmacia.

 

I motivi?

Lo spiego in breve: se un giovane si deve iscrivere a un corso quinquennale, a ciclo unico, sobbarcandosi le spese universitarie e quelle, in molti casi, da studente fuorisede, per poi entrare in farmacia e percepire uno stipendio che non arriva ai 1.500 euro mensili e, qualche anno, dopo supera a malapena i 1.700, sperando nel buon cuore del titolare…

 

Non vale la pena…

Appunto. Quindi, è vero che la remunerazione del titolare, nettamente superiore a quella del collaboratore, è giustificata dal suo ruolo. Ma è anche vero che quello che si definisce “rinascimento della farmacia”, conseguente agli anni della emergenza Covid, ha visto crescere notevolmente le responsabilità dei collaboratori. E parlo di vaccinazioni, di test diagnostici, di telemedicina, di tutto l’ambito della farmacia dei servizi.  Ma di fronte a queste nuove competenze che vengono richieste la remunerazione del collaboratore è rimasta la medesima.

 

A livello nazionale sono state avviate le trattative tra Federfarma e sindacati per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro.

Sì, certo, anche io per il mio lavoro sono in contatto con Federfarma e con gli ordini professionali, che prendono atto di questo “calo di vocazioni” verso gli studi in Farmacia e sono anche consapevoli del fatto che un farmacista che decida di emigrare in Svizzera o in Germania può percepire retribuzioni nettamente superiori a quelle vigenti in Italia. Tirando le somme, l’attrattività del corso di laurea esiste eccome, in termini di competenze scientifiche, semmai è quello che succede dopo la laurea che dovrebbe cambiare. Poi c’è un’altra questione da affrontare.

 

Quale?

Solo in Italia esiste il corso di laurea in Ctf, che di fatto frammenta l’offerta. Negli altri Paesi europei esiste soltanto la laurea in Farmacia. L’ordinamento universitario, in pratica, prevede che chi si laurea in Ctf, anche se non ha una formazione finalizzata al lavoro in farmacia ma semmai al lavoro nell’industria, possa ugualmente, se lo desidera, svolgere il lavoro dietro al banco, pur avendo meno competenze specifiche. Mi spiego meglio, nel corso di laurea in Farmacia noi abbiamo degli insegnamenti focalizzati sul consiglio al paziente riguardo a determinati prodotti, in termini di sicurezza ed efficacia. Ma questo tipo di formazione nel corso di laurea in Ctf non è prevista. E questo non va bene, se consideriamo che, in base alle statistiche, l’80% dei laureati in Ctf finisce con il lavorare in farmacia.

 

Per chiudere, professore, un parere sulla Convenzione tra Ssn e farmacie, scaduta da oltre vent’anni e forse, finalmente, in fase di rinovo.

Prima di tutto mi permetta di sottolineare che una Convenzione scaduta da venticinque anni è qualcosa di scandaloso. La professione di farmacista ha subito notevoli conseguenze da questo ritardo ancestrale. In ogni caso, se si vuole davvero che la farmacia diventi un presidio sanitario di prima istanza occorre che essa sia organizzata in modo adeguato. In primis valorizzando i farmacisti che vi lavorano, anche in termini retributivi, di fronte a compiti sempre crescenti. Per il resto va benissimo potenziare la farmacia dei servizi ma la sfida principale per i prossimi anni sarà quella dell’uniformità dell’offerta su tutto il territorio nazionale. La possibilità, cioè, per il cittadino di accedere, recandosi in farmacia, a una gamma di servizi che sia la medesima a prescindere dal fatto che egli viva in un’area piuttosto che in un’altra della penisola.

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