Tra gli italiani che hanno un lavoro, il 38,5 per cento ha intenzione di cambiarlo nell’arco del prossimo anno. Si chiama “Great Resignation” (grandi dimissioni) ed è dettata dalla ricerca di migliori condizioni economiche, ma non solo.
Sempre di più le persone cercano flessibilità, equilibrio tra lavoro e vita privata, meritocrazia. Un cocktail di tante aspirazioni che si traduce nella felicità in azienda. E se non la trovano, non esitano a licenziarsi.
Che all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, era un fenomeno in atto da tempo lo sapevamo ma adesso la Great Resignation è arrivata anche da noi: quasi quattro italiani su dieci stanno meditando su questa possibilità. È la fotografia che emerge dalla seconda survey dell’Osservatorio BenEssere e Felicità condotto dall’associazione Ricerca Felicità, che ha raccolto i dati di 1.314 lavoratori sia autonomi sia dipendenti
In un articolo di marzo pubblicato su lavoce.info si legge: “Il fenomeno delle “grandi dimissioni” in Italia si è consolidato nel corso del 2021, con un tasso di dimissioni (il numero di dimessi sul totale dei lavoratori dipendenti) che ha superato il 3 per cento nel quarto trimestre dell’anno passato, un numero mai visto nell’ultimo decennio. Se è vero che il fenomeno in Italia ha proporzioni molto più contenute rispetto alla “versione originale” statunitense (circa un terzo), allo stesso tempo, la tendenza è chiara anche nel nostro paese e dunque interrogarsi sulle sue cause è utile e importante”
I dati dell’Osservatorio BenEssere e Felicità ci dicono che tra coloro che hanno già un lavoro, il 38,5 per cento ha intenzione di cambiarlo nell’arco del prossimo anno. Questa percentuale è pressoché omogenea all’interno del campione, fatta eccezione per professionisti e partite Iva, per i quali si limita al 28 per cento. Quasi la metà dei millennial (cioè i nati tra il 1980 e il 2000) ha intenzione di cambiare, ma la percentuale è importante anche tra i baby boomer (nati tra il 1946 e il 1964): si attesta infatti sul 18 per cento, poco meno di un intervistato su cinque.
La Great Resignation è un fenomeno complesso ma la ricerca ci dicono che se la ricerca di migliori condizioni economiche è ovviamente un fattore, ci sono anche altre motivazioni che spingono le persone a licenziarsi, tra cui la mancanza di sviluppo personale o professionale e di carriera, la mancanza di riconoscimento e la paura del burnout, fattore ampiamente al primo posto tra gli imprenditori e manager con oltre il 43 per cento.
«Con questa seconda survey, volta a misurare lo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori, vogliamo continuare un progetto iniziato nel 2021 che porti sempre più a comprendere dove agire per far crescere la felicità e il benessere dei lavoratori del nostro Paese. La felicità è una meta-competenza scientificamente provata che può portare, attraverso l’inclusività e l’accoglienza delle molteplicità dei singoli, unito ad un puntuale ascolto attivo e una presa di consapevolezza dei reali bisogni secondo il ciclo di vita a un nuovo benessere organizzativo, ad un nuovo umanesimo delle organizzazioni» ha commentato Elisabetta Dallavalle, Presidente dell’Associazione Ricerca Felicità.
Elga Corricelli co-founder dell’Associazione Ricerca Felicità invita le aziende a non trascurare questi aspetti: «Le aziende dovrebbero comprendere al più presto come limitare questo fenomeno, al fine di rimanere competitive nel mercato. Oggi e nel futuro, si relazioneranno sempre di più con persone che chiedono maggiore flessibilità, benessere e Hybrid Working così da gestire in autonomia i propri orari lavorando per obiettivi condivisi e agendo sulle leve della fiducia, non del controllo. La nuova immagine del lavoro che sembra delinearsi racconta del desiderio di poter contribuire con valore, crescere secondo leve meritocratiche e contare sulla collaborazione autentica di tutti».
Smart working e orari flessibili sono al giorno d’oggi opzioni più desiderate delle opportunità di carriera: «È stato interessante analizzare le motivazioni che spingerebbero i lavoratori – che al momento non hanno interesse nel cambiare il loro posto di lavoro – a pensare di intraprendere questa scelta. Si evidenzia una situazione in cui migliori condizioni economiche e minore stress sono molto più desiderate rispetto a maggiori opportunità di carriera, una maggiore flessibilità di orario o opzioni per smart working» ha concluso Sandro Formica, VicePresidente e Direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicità.