“Un lavoro stupendo che sto iniziando a detestare”, comincia così il post di un utente in un gruppo di farmacisti su Facebook. Per comprendere meglio il fenomeno della carenza di collaboratori che affligge ormai da tempo la farmacia abbiamo deciso anche di fare un giro sui social che rappresentano una vera e propria agorà dove monitorare in diretta umori, bisogni, aspirazioni, un termometro di stati d’animo.
A conferma della difficoltà di reperire personale, nei gruppi social si moltiplicano le offerte di lavoro in tutta Italia, offerte che nella maggior parte di casi cadono nel vuoto: i titolari di farmacia non riescono più a trovare farmacisti disponibili.
Da più di un anno il rapporto domanda/offerta è sbilanciato sull’offerta.
Le ragioni sono note e se ne discute da un po’ (ne scriviamo anche in questo numero di PharmaRetail e continueremo a parlarne): stipendi giudicati inadeguati, turni troppo faticosi, mancanza di prospettive di carriera.
Problemi che la pandemia aumentando i carichi di lavoro ha accentuato, ma che esistevano anche prima del Covid.
Tra le nuove generazioni è inoltre sempre più sentito il tema del work life balance: nella scelta di un lavoro, oltre allo stipendio e alla carriera, assume sempre più importanza la possibilità di conciliare vita privata e lavorativa.
Il risultato è che è in atto una vera e propria fuga dei laureati in farmacia e dei farmacisti stessi verso altre professioni, un fenomeno ormai dato per acquisito, come testimonia il post di G. “Buongiorno, mi rivolgo ai colleghi che hanno lasciato il lavoro in farmacia, di che cosa si occupano oggi? Cerco spunti! Grazie”.
Il post in questione ha ricevuto valanghe di commenti e, se qualche collega risponde di aver cambiato del tutto settore: “sto imparando a guidare il trattore e aiuterò mio padre nei campi” o “sono diventata fotografa”, la maggior parte degli (ex) farmacisti si è orientata verso il mondo dell’azienda, dell’insegnamento, della farmacia ospedaliera o ha deciso di rimettersi sui libri e di iscriversi a un master per avere più prospettive di carriera (ma non dentro a una farmacia): “ho iniziato un master in ricerca clinica, mi sono felicemente licenziata dalla farmacia e lavoro in una CRO” (ndr Contract Research Organization) scrive un utente; “sia nelle CRO che negli IRCCS e anche nelle aziende cercano spesso, vedo tanti annunci per varie posizioni nel campo clinico e in quello dei medical affairs”. Conferma un altro utente: “sicuramente le possibilità di crescita che vedo da chi ha seguito questa strada prima di me è molto maggiore rispetto alla farmacia”. “Io sono in azienda, mi occupo di market access”, “Due master in ricerca clinica e ora lavoro in una grande azienda farmaceutica occupandomi di studi clinici” gli fanno eco due altri colleghi.
Nello scontento generale, c’è anche qualche sparuta voce fuori dal coro: “se lasci il mondo della farmacia perché i turni sono stressanti o il contratto non va bene sappi che fuori è molto peggio” ma si tratta di eccezioni.
Una giovane laureanda pone ai (quasi) colleghi la fatidica domanda che riceve ben 330 commenti: “Studio farmacia ma molte volte vedo farmacisti arrabbiati: è davvero così male come professione? Me la sconsigliereste?”
L’amarezza si legge nei tanti “scappa finché puoi”. C’è chi commenta: “Una laurea inutile se non si è figli di farmacisti, puoi lavorare in azienda con più soddisfazioni”; “È stata una bella professione seppellita da tanta burocrazia“; “Dopo 38 anni di lavoro e un 110 e lode posso dire che questa laurea è proprio sprecata, sia dal punto di vista professionale che retributivo, unica soddisfazione sono i clienti affezionati”.
Alle accresciute responsabilità generate dalla risposta alla pandemia, secondo i farmacisti collaboratori non corrisponde un trattamento adeguato da molti punti di vista, in primis quello economico ma non solo: “La professione in sé non è affatto male. Se si ha predisposizione all’ascolto e desiderio di rendersi utili a chi necessita di un consiglio di salute, può dare grandi soddisfazioni personali. I problemi sono l’ambiente di lavoro (spesso castrante rispetto alla professionalità e alle qualità umane del dipendente) e lo stipendio assolutamente inadeguato al livello professionale e alle competenze che esprimiamo e alle responsabilità cui siamo chiamati”; “Gli stipendi sono bassi, proporzionati alle ore di lavoro e agli anni di studio. Inoltre siamo considerati professionisti sanitari solo al bisogno, altrimenti commessi. Le tasse da pagare sono alte e gli ambienti spesso non favorevoli. L’unica nota positiva è quando ci chiedono dei consigli, che poi si rivelano davvero utili”. È ancora più categorica S.: “Te la sconsiglio perché è un percorso di studi bello e appassionante ma che si tradurrà in lavoro simile a quello di una qualsiasi commessa di un negozio di cosmetica, con pari stipendio ma triple responsabilità da tutti i punti di vista. Aggiungici che ormai sei costretta a lavorare sei giorni su sette, che con orario spezzato esci la mattina di casa e ci torni a sera inoltrata”. I turni di lavoro sono un problema molto sentito dalle madri: “Io adoro il mio lavoro e non lo cambierei mai ma mi piacerebbe avere degli orari ed un contratto migliori. Se farai dei figli e non avrai la fortuna di avere un part time (fortuna ormai abbastanza rara) potrai stare con loro ben poco… e la tua babysitter guadagnerà in proporzione più di te. Tuttavia vorrei ribadire che il lavoro è bellissimo”.
Una professione che continua a essere giudicata bellissima sia tra gli scontenti che consigliano alla giovane laureanda di tentare subito un’altra strada, sia tra i pochi che le augurano di proseguire: “È il lavoro più bello del mondo, studia e non smettere mai di farlo”, “Io dopo 28 anni amo ancora il mio lavoro e non lo cambierei. Dipende sempre dai punti di vista, da come ti poni e come lo vivi..Spero che tu continui..auguri!”