La figura del farmacista prescrittore si affaccia per la prima volta sulla scena britannica nei primi anni Duemila nelle vesti del supplementary prescriber, una forma volontaristica di collaborazione che il farmacista poteva avviare con il medico di base, a supporto del paziente. Pochi anni dopo era la volta degli independent prescriber, farmacisti prescrittori indipendenti che operavano in ospedali, studi di medicina generale e reti di cure primarie. Progetti che non coinvolgevano però i farmacisti di comunità.
La svolta si è avuta con l’avvio, nel 2023, del NHS Community Pharmacy Independent Prescribing Pathfinder Programme che dovrebbe portare, a conclusione della fase sperimentale, nel 2026, a istituzionalizzare la figura del farmacista di comunità prescrittore. «L’introduzione della prescrizione indipendente come parte del Community Pharmacy Contractual Framework (CPCF)», si legge sul sito del National Health Service, «consentirà di utilizzare la formazione dei farmacisti e l’erogazione dei servizi clinici per approdare a un modello organizzativo integrato nell’ambito delle cure primarie». Mettendo a frutto la presenza diffusa delle farmacie di comunità sul territorio.
Un ruolo attivo
Interessante il parere – reso pubblico in una intervista al Pharmaceutical Journal – di Bruce Warner, ex Deputy Chief Pharmaceutical Office e attuale presidente del gruppo consultivo della Royal Pharmaceutical Society. Un funzionario che ha rivestito e riveste di cariche di primo piano nella gestione della sanità britannica e che si sta occupando, con un team di esperti, di redigere un report che affronta l’annosa questione della carenza di farmaci. Una questione che può avere gravi implicazioni sulla salute collettiva.
La diagnosi di Warner non è molto confortante: la carenza farmaci non è un problema per il quale esista una soluzione definitiva, quello dei medicinali è un mercato globale che, inevitabilmente, attraversa delle difficoltà di carattere logistico. Si tratta, per così dire, di limitare i danni, mettendo in campo procedure che riducano al minimo l’impatto di tali carenze sulla salute dei cittadini.
In questa ottica Warner ritiene però che l’apporto dei farmacisti di comunità anche in questa battaglia a difesa della salute pubblica può essere molto utile. Il suo auspicio è, che negli anni a venire, la figura del farmacista prescrittore si diffonda su larga scala: «Ritengo molto difficile che in futuro il nostro Nhs, nelle condizioni in cui si trova, possa fare a meno del contributo dei farmacisti prescrittori, magari con la scusa di non essere in grado di fornire loro una formazione qualificata».
Queste nuove competenze del farmacista potrebbero servire a mitigare le criticità, laddove la catena logistica, periodicamente, si inceppa. Il timore di Warner è semmai che i farmacisti, a partire del 2026, comincino a prescrivere al di fuori di un contesto assistenziale integrato, in termini di accesso alle informazioni, di conoscenza del fascicolo sanitario elettronico del paziente di collaborazione proficua tra professionisti sanitari. Il rischio è di creare ulteriori problemi laddove si crede di poterli risolvere.
Certo è che quella farmacia clinica che in Italia è ancora in fase embrionale, spesso guardata con sospetto dalla classe medica, nel Regno Unito sta diventando un pilastro di quella che noi chiameremmo “medicina di prossimità”. Attraverso il coinvolgimento del farmacista in attività che una volta si consideravano appannaggio esclusivo del medico.