Il 2025 è appena iniziato e a cinque anni dall’inizio della pandemia da Covid-19 la farmacia entra nel nuovo anno profondamente cambiata rispetto ad allora: da una parte il suo ruolo nella sanità territoriale è riconosciuto da cittadini e istituzioni, con un notevole sviluppo dei servizi, dall’altra l’espansione delle catene e l’affermazione sempre più marcata del commercio online continuano a ridefinire le dinamiche del settore.
PharmaRetail ha chiesto a Paolo Bertozzi (nella foto), Founder Head Pharma TradeLab, che cosa deve aspettarsi la farmacia italiana da questo nuovo anno.
Siamo all’inizio dell’anno, come si affacciano le farmacie italiane al 2025 e cosa si devono attendere?
Le farmacie da qualche anno stanno vivendo un processo di progressiva trasformazione determinato, all’interno di un contesto di lento cambiamento, da una serie di elementi di discontinuità su diversi piani: sociale (invecchiamento della popolazione e ricambio generazionale non solo tra i consumatori ma anche tra gli stessi farmacisti), economico (conseguenza – tra le altre cause – delle diverse crisi internazionali con derive inflazionistiche e aumento dei costi tra i quali il costo del lavoro e quelli finanziari), normativo (la nuova remunerazione, ma non solo) e competitivo (sviluppo delle catene proprietarie e crescente concorrenza multicanale).
Il quadro è sempre più complesso, ma la farmacia, come format di servizio e commerciale ha dimostrato di riuscire – non senza sforzi – a mantenere elevati livelli di soddisfazione dei clienti e quindi di competitività sul piano commerciale e di dispensazione del farmaco, ma anche di poter ambire a un nuovo ruolo più attivo nella sanità territoriale.
A mio giudizio, dunque, le farmacie si devono affacciare a questo nuovo anno, con la “giusta preoccupazione” o, più esattamente, con la “giusta attenzione” ai cambiamenti che possono subire e a quelli che devono esse stesse produrre. Nel contempo devono essere consapevoli di quanto appreso in questi anni, delle esperienze maturate, delle proprie risorse e della capacità di generarle.
Dalla pandemia a oggi la farmacia ha visto spostare il suo asse verso i servizi, ma quanto conviene alla farmacia puntare sui servizi?
Provo per una volta a essere drastico: conviene! Ora bisogna però intendersi sul concetto di “convenienza”, o più precisamente di “utilità”. Se guardiamo alla sola utilità economica di breve periodo, ovvero alla marginalità o profittabilità dei servizi, la risposta non può essere univoca, ma dipende dal volume di attività, ovvero di prestazioni, che si riescono a produrre e vendere. Volume che dipende a sua volta non solo dall’offerta della singola farmacia – quantità e qualità dei servizi offerti – ma anche dalle caratteristiche del territorio in termini di domanda e di concorrenza sul piano dei servizi. Se già la pianta organica non è più necessariamente garanzia assoluta di domanda per i farmaci, ancor meno lo è per quella di servizi. Oltre alla dimensione e alle caratteristiche della popolazione presente all’interno del bacino di attrazione della farmacia, è necessario considerare tutte le altre strutture (ospedali e case di cura, centri diagnostici e altre farmacie) che offrono servizi e che sono localizzate in prossimità di tale bacino o addirittura al suo interno. In un’area urbana densa, per esempio, troveremo sicuramente una quantità consistente di domanda, ma probabilmente anche molta concorrenza. Un’attenta analisi di geomarketing consente di fare delle valutazioni in merito. Alla prova dei fatti ad oggi l’esperienza ci dice che per alcune farmacie i servizi sono già un’area di reddito (i ricavi riescono a superare i costi correnti e gli investimenti strutturali o le relative quote di ammortamento), per molte sono considerate dei generatori di costi superiori ai guadagni. Se però allarghiamo la prospettiva al ruolo strategico che la categoria “servizi” ha per la competitività del format e delle singole farmacie, allora ci si rende conto che più che di “area di costo” essa dev’essere considerata un investimento, al pari di investimenti in pubblicità, finalizzato a generare attrazione (traffico) in farmacia e fidelizzazione della clientela.
E quanto invece la farmacia è soprattutto un punto vendita retail?
In quanto primo fronte della relazione con i cittadini-pazienti-consumatori, la farmacia è in tutto e per tutto un retailer di beni e servizi. Se poi passiamo a valutazioni meramente quantitative, basti l’evidenza del fatto che mediamente quasi il 50% del fatturato delle farmacie italiane sia generato da prodotti del comparto “commerciale”, per i quali sono in diretta concorrenza con tutti gli altri canali retail, fisici e online.
Quando prima si parlava di trasformazione del format, dunque, non si faceva riferimento a un processo che avviene per “sostituzione” di attività, risorse e competenze, dai beni ai servizi, ma di un processo che avviene per “aggiunta e integrazione”. La farmacia dovrà essere sempre di più espressione di competenze trasversali e multidisciplinari: a fianco di quelle farmacologiche, saranno sempre più necessarie quelle cliniche, economiche e di marketing (tra le prime). Anche per questo si diceva di una crescente complessità che le farmacie devono prepararsi ad affrontare trovando in sé stesse o nelle proprie organizzazioni (aggregazioni e network, ma anche associazioni di categoria) tali risorse.
Con Generation Next, TradeLab si è rivolta ai giovani farmacisti, come sta cambiando la loro percezione e il loro approccio alla professione?
Anche in questo caso non è sempre corretto generalizzare, perché abbiamo scoperto all’interno di questa nuova generazione di farmacisti, diversi profili comportamentali e di pensiero. Sicuramente è consistente e comune l’aspirazione a un ruolo più attivo e integrato nella sanità territoriale, che si realizza attraverso il servizio di primo e immediato supporto ai cittadini, ma anche attraverso attività di screening, di referral clinico, di diagnostica.
Emergono dunque, da un lato l’orgoglio professionale e l’ambizione a un ruolo più marcatamente sanitario, ma allo stesso tempo la consapevolezza che tale ruolo è possibile solo se supportato economicamente e integrato con competenze di natura economica e capacità di gestione d’azienda e di punto vendita.
Come può la farmacia del futuro integrarsi nel sistema sanitario e distinguersi nel panorama territoriale?
Il percorso credo sia tracciato un po’ nelle cose dette precedentemente. “Che cosa fare” è abbastanza chiaro: l’asticella però si sta alzando e occorre essere bravi e competitivi in tutto, dalle scelte strategiche di investimento (nelle strutture, nei servizi e nelle persone), alle attività più operative in campo commerciale (assortimenti, pricing, promozioni, display).
Il punto da decidere è “come” acquisire le risorse e fare gli investimenti. Le catene proprietarie dettano il passo. Per chi, da indipendente, ha un forte spirito imprenditoriale è ancora possibile guidare in totale autonomia lo sviluppo della propria farmacia e magari la creazione di una (più o meno piccola) catena. Tale strategia di sviluppo comporta ovviamente investimenti, quindi capacità finanziarie e propensione al rischio imprenditoriale. In alternativa ci sono le diverse opzioni di aggregazione commerciale (network), tenendo presente che sempre di più la scelta di far parte di un network non potrà essere fatta con leggerezza o “opportunismo”, ma comporterà un’adesione forte ai valori, alle strategie e alle azioni del gruppo. Siamo entrati nell’era della compliance.