Un titolo inquietante-che riecheggia le ben note cattedrali nel deserto, ma in questo caso il problema non è nel territorio, quanto nelle strutture in sé-quello scelto dal Sole24 Ore per fare il punto, in un articolo uscito il 15 marzo, sullo stato dell’arte delle Case di Comunità, sulla base dei dati diffusi da Agenas.
(Quasi) tutto ancora da fare: solo 46 delle 1.717 Case della Comunità previste sono realmente operative, offrendo tutti i servizi obbligatori dichiarati dalle Regioni come attivi e garantendo la presenza congiunta di medici e infermieri. Ma dalla fotografia di Agenas, l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, emerge anche che meno di un terzo delle case di comunità (485) arriva a essere anche lontanamente performante.
Più nel dettaglio, oltre alle 46 strutture completamente operative:
- 118 dichiarano di offrire tutti i servizi previsti, ma senza garantire la presenza congiunta di medici e infermieri;
- 122 rispettano gli standard del DM 77 per la copertura infermieristica;
- 158 garantiscono la presenza medica.
Il decreto ministeriale 77/2022 stabilisce che le Case della Comunità hub debbano essere attive h24 con personale medico e almeno 12 ore al giorno con infermieri, mentre le strutture spoke devono assicurare una presenza medica di 12 ore per sei giorni alla settimana. Dati alla mano, l’obiettivo resta lontano.
Il report di Agenas evidenzia inoltre un divario territoriale marcato: le équipe multiprofessionali operano in 334 Case della Comunità al Nord, 98 al Centro e appena 8 al Sud. I Punti unici di accesso (Pua) necessari per il primo approccio degli utenti specialmente se cronici sono 205 al Nord, 53 al Centro e solo 2 al Sud; l’assistenza domiciliare è erogata in 313 Cdc del Settentrione, in 86 del Centro e in 15 del Sud; la specialistica ambulatoriale per malattie ad alta prevalenza è in 308 Cdc del Nord, in 103 del Centro e in 18 del Sud.
A poco più di un anno dalla scadenza del Pnrr, il quadro resta critico: troppe strutture ancora prive di servizi essenziali e un divario territoriale evidente. Il nodo del personale medico e infermieristico si conferma il principale ostacolo a un modello di assistenza che, sulla carta, dovrebbe avvicinare la sanità ai cittadini.