Qualche settimana fa, partecipando a Pharmevolution, Ornella Barra, Chief Operating Officer di Walgreens Boots Alliance, indicava nella farmacia italiana un modello da seguire a livello internazionale. Nel suo intervento, evidenziava al tempo stesso la crisi del sistema farmacia francese dimostrato dalle centinaia di chiusure che ogni anno hanno luogo Oltralpe.
Un elemento comune pare invece essere quello relativo alla difficoltà di reperire farmacisti nelle farmacie di comunità. La questione salariale, inutile dirlo, è prioritaria: in sintesi, se il ruolo della farmacia diventa sempre più essenziale nelle politiche di salute pubblica, le retribuzioni devono essere adeguate al compito. Più oneri, più responsabilità… più denaro in busta paga. Non si tratta solo di una questione economica, però. Una recentissima indagine Unifarco – di cui abbiamo appena parlato in un articolo della settimana scorsa evidenzia «una notevole difficoltà nel reclutamento di collaboratori per la maggior parte delle farmacie. Stabilire un rapporto positivo con i farmacisti-collaboratori risulta relativamente facile per circa il 70% dei rispondenti ma rimane complesso delegare responsabilità, motivare il team e coinvolgere i collaboratori in attività di formazione, problematiche segnalate da oltre il 40% degli intervistati». Quello che anche una ricerca di qualche mese fa di Tradelab – di cui pure abbiamo parlato su Pharmaretail – attesta è la volontà dei collaboratori di entrare più direttamente nella governance della farmacia, in modo da arricchire il proprio bagaglio professionale anche sul versante, per così dire, gestionale.
Il discorso contrattuale
Tornando al confronto Francia-Italia, Le Quotidien du Pharmacien segnala che anche l’ultimo incontro tra associazioni dei titolari di farmacia e sindacati dei collaboratori si è concluso con un nulla di fatto. I primi hanno offerto un aggiornamento dei contratti nella misura dello 0,8% mentre i secondi puntavano a un 1,8%. La testata francese parla esplicitamente di “braccio di ferro” tra le parti e manifesta un certo pessimismo sulla possibilità che a breve si possa raggiungere un accordo. Difficile negare, però, che ad avere il coltello dalla parte del manico siano oggi i collaboratori, figure professionali uscite rafforzate dalla prova della pandemia, di fronte a titolari che sono «alla ricerca disperata di personale».
E in Italia cosa succede? Il contratto collettivo di lavoro dei collaboratori, rinnovato nel 2021, scade a fine anno e sono già state avviate le trattative per il rinnovo tra Federfarma e rappresentanze sindacali. Come è ovvio al centro della discussione ci sarà la questione economica. Il contratto firmato nel 2021 era scaduto da nove anni e, secondo i sindacati, non ha minimamente tenuto conto di tutti quegli anni di mancati aumenti, un aspetto ritenuto essenziale per il prossimo rinnovo.
A oggi si calcola che lo stipendio medio di un dipendente di farmacia si aggiri sui 1.500 euro, poco meno di un migliaio se si tratta di un part time. Questo in presenza di un impegno professionale sempre più gravoso e orari ormai del tutto liberalizzati, che implicano maggiori sacrifici anche dal punto di vista personale e familiare.
Se gli aumenti sono una componente indubbiamente essenziale per il futuro della professione, Federfarma – associazione dei titolari di farmacia – sottolinea anche la centralità della formazione professionale e delle nuove potenzialità offerte dalla farmacia dei servizi, a partire dal contesto universitario in cui si assiste a un calo progressivo di laureati in Farmacia.
Più formazione sembra essere la parola chiave, anche se la “battaglia” sui salari – da integrare con forme di welfare aziendale, come tante volte sottolineato da Fenagifar, – sarà quella più dura tra le controparti.