Un mortaio forgiato a Venezia nel 1789, libri antichi, fialette di vetro: che la storia della sua famiglia fosse intrinsecamente legata a quella della farmacia, Luca Antonelli, titolare della farmacia Vianelli di Sassoferrato, l’ha sempre saputo.
Ma un giorno decide che vuole conoscerla a fondo perché anche se la memoria storica si è tramandata, i ricordi della nonna Armida e della zia Dora a un certo punto si fermano: «Avevo ricostruito la storia della farmacia e della mia famiglia da tanti frammenti, volevo riconnetterli e arrivare fino all’inizio». Così Luca incarica lo storico Renzo Franciolini di spulciare negli archivi e scopre che ben sei generazioni di farmacisti si sono avvicendate tra i bellissimi locali affrescati della sua farmacia.
«Il capostipite è stato Domenico Vianelli, il bisnonno del mio bisnonno, quando è arrivato a Sassoferrato aveva 26 anni ed era stato da poco nominato speziale. Ha iniziato aiutando il farmacista del paese, poi nel 1820 ha siglato con lui una convenzione per la ripartizione degli utili, degli utensili e dei locali. Alla morte del farmacista, diventa titolare e poi la cede al figlio Francesco. Di Francesco (senior, perché poi avrà un nipote che si chiamerà come lui), rimangono molte testimonianze. Era un appassionato ornitologo e aveva dedicato al gabinetto ornitologico un’ala della farmacia. Quello era il suo sancta sanctorum, dove trascorreva moltissimo tempo insieme ai suoi amici e ai pazienti».
Il nipote Francesco, che eredita la farmacia, cerca un figlio maschio ma gli nascono nove figlie femmine. Una di loro è Armida, la nonna di Luca, che si laurea in farmacia nel 1930 e diventa la titolare ufficiale. Ma accanto a lei c’è sempre zia Dora, l’anima della farmacia Vianelli: «Era conosciuta da tutti come “la signorina Dora”. Non si è mai sposata e non si è mai laureata: ufficialmente non poteva esercitare, ma è cresciuta dentro la farmacia e in paese mi riferiscono che i suoi inguenti e le sue creme fossero miracolosi. Che era diventata amica del poeta Ezra Pound e che sapeva comunicare con i morti. Ma soprattutto quanto era grande il suo cuore. Zia Dora era quella che, in tempo di guerra, si metteva a gridare nella piazza del paese per cercare qualcuno che potesse portare le medicine nelle frazioni più sperdute, che non ha mai chiesto un soldo a chi sapeva che non poteva permettersi di pagare. Ancora adesso ci sono vecchine che vengono da me e mi dicono: “Se non fosse stato per tua zia Dora mia figlia sarebbe morta perché non avevo il latte e non avevo denaro per comprare quello artificiale”. Per me è un dovere e un onore portare avanti questa tradizione e aiutare chi ha bisogno, non potrei mai tirarmi indietro».
Come in ogni storia famigliare, ci sono anche i momenti bui: «a 25 anni ero un po’ il classico figlio di papà. Mio padre gestiva la farmacia, io studiavo ma con calma, diciamo che vivevo un’adolescenza prolungata. Ma da un giorno all’altro è cambiato tutto: mio padre è morto in circostanze tragiche e io ho capito che dovevo rimboccarmi le maniche. Mi sono laureato ed è iniziata la mia vita al bancone. Che in realtà ho adorato subito. Mi piace ascoltare le persone, mi piace prendermene cura. La professione farmaceutica non è prendere una medicina dallo scaffale e darla al paziente ma farsi carico di un bisogno. Dico sempre scherzando che la Farmacia Vianelli è un po’ un confessionale, però credo che sia davvero un luogo di ascolto, come dovrebbe essere ogni farmacia. Mi rendo conto di essere un privilegiato in questo perché abito in un piccolo comune e ho solo un’altra farmacia come concorrente. So che è molto diverso per chi convive con una farmacia a 50 metri in una grande città però quello di cui sono certo è che dedicare tanto tempo all’ascolto delle persone, ricambiare la loro fiducia, paga da ogni punto di vista e la pandemia lo ha messo in luce mentre la medicina territoriale ha mostrato i suoi limiti».
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