Un nuovo brevetto in grado di utilizzare ingredienti provenienti da filiere di up-cycling, che permettono di valorizzare e dare nuova vita a scarti di produzione diverse da quella cosmetica è solo un ulteriore passo di un impegno sulla sostenibilità ambientale che Unifarco porta avanti da tempo. Pharmaretail ha intervistato Stefano Francescato (nella foto), Research & Development Director di Unifarco per capire come l’azienda si sta muovendo in questa direzione, anche alla luce di un diverso atteggiamento della politica internazionale nella lotta ai cambiamenti climatici.
Il vostro nuovo brevetto VitisBrightTM usa estratti vegetali provenienti da filiere up-cycling. Ci può spiegare di cosa si tratta?
Questo brevetto è frutto di una collaborazione con Unired, il nostro spinoff dell’università di Padova, dove facciamo ricerca di base nel mondo sia della cosmetica sia dell’integrazione alimentare. La nuova formula brevettata combina tre potenti estratti di pino silvestre, abete bianco e vite, che insieme lavorano sinergicamente per contrastare le macchie cutanee grazie a molecole chiave quali taxifolina, taxiresinolo e derivati del resveratrolo. Sono ingredienti accuratamente selezionati per la loro efficacia nel prevenire e ridurre le iperpigmentazioni. Le tre diverse biomasse vegetali utilizzate derivano da filiere di up-cycling create sul territorio Veneto, dando valore a 3 diversi scarti: i rami di potatura della vite che normalmente andrebbero al macero, sono i sottoprodotti di un’azienda vitivinicola, mentre le cortecce di pino e abete bianco, sono scarti delle potature e sottoprodotti della lavorazione del legno. Gli ingredienti vengono recuperati da queste tre filiere e trasformati in un estratto cosmetico di elevata qualità, acquistando appunto un valore aggiunto dato proprio dall’upcycling, perchè non si tratta esclusivamente di recupero ma di valorizzazione di un materiale altrimenti senza valore.
Qual è il vostro impegno nella riduzione della plastica monouso e nella riduzione degli scarti del packaging?
In Unifarco da anni lavoriamo con un’attenzione particolare al packaging in quanto parte inscindibile dal nostro tipo di prodotto. Da una parte stiamo riducendo la grammatura del pack cercando di utilizzare la quantità minima di plastica per il contenitore del prodotto. Poi abbiamo introdotto in alcune linee di prodotto dei confezionamenti con il sistema di refill: quindi vendiamo il prodotto completo che ha una confezione costituita da due parti, una parte esterna che viene conservata, mentre la parte interna che contiene il prodotto che può essere sostituita con un refill. in questo modo riusciamo a risparmiare circa l’85% della plastica. Per la detergenza, le referenze a volume alto -come 400 600 800 ml- abbiamo ricariche che ci permettono di risparmiare dal 70 all’80% di plastica rispetto al flacone di vendita standard.
Crede che l’utilizzo di cosmetici solidi sia un’alternativa percorribile?
I cosmetici solidi possono essere un’alternativa nel momento in cui vengono formulati con materie prime ad impatto controllato certificato e comunque in grado di rispettare la barriera cutanea. Diciamo che nel mondo della detergenza io credo maggiormente nei prodotti di co-washing quindi prodotti che abbinano ad una detersione anche un trattamento cosmetico, riducendo di fatto sia il consumo di acqua per produrli sia l’uso durante la detersione. Per quanto riguarda invece il mondo dei prodotti dei leave-on, quindi dei prodotti che vengono applicati e non risciacquati come le creme e i sieri, c’è un grande compromesso che il cliente deve accettare: il cliente con un interesse alla sostenibilità ambientale deve scendere un po’ a patti con un’esperienza sensoriale non ottimale, proprio perché in questo momento l’innovazione in termini di materie non permette di raggiungere per adesso una performance paragonabile a quelli tradizionali.
Voi siete da sempre attenti al rispetto del territorio e pionieri nel campo della sostenibilità ambientale, ancor prima che diventasse un tema necessario per alcune realtà aziendali. Come vede in generale lo sviluppo della sostenibilità delle aziende, anche alla luce dell’ESG?
È vero noi siamo partiti alcuni anni fa, essendo molto legati al nostro territorio: la nostra sede è proprio ai piedi del Parco delle dolomiti Unesco. Il forte legame con il nostro territorio risulta molto utile perché siamo in grado di pianificare, di monitorare ma soprattutto di misurare i risultati dei progetti dedicati alla sostenibilità ambientale oppure alla sostenibilità sociale o alla governance. Nel mondo industriale si ritiene che la sostenibilità sia strettamente collegata con la logistica e la produzione: in realtà questo tipo di sensibilità noi la applichiamo anche nella formulazione, applicando un principio di eco-design. Di fatto, sapendo qual è l’impatto delle materie prime che utilizziamo possiamo scegliere a parità di performance quelle che impattano meno sull’ambiente. Quindi dall’ideazione del prodotto si trasferisce sulla produzione e sulla logistica. Siamo impegnati anche sul tema della biodiversità, per la salvaguarda del territorio, grazie anche alla Fondazione Unifarco.
Crede che un diverso atteggiamento della politica internazionale rispetto alle tematiche di lotta ai cambiamenti climatici possa rallentare l’impegno delle aziende nel campo della sostenibilità e della riduzione delle emissioni?
Sicuramente lo scivolamento verso il basso nell’agenda politica internazionale di queste tematiche, potrà rallentare in qualche modo lo sviluppo alla sostenibilità aziendale. Però, secondo me le aziende che sono già partite con questo commitment e che hanno deciso di comunicarlo non torneranno indietro, anche perché i clienti sono sempre più sensibili a queste tematiche. Le aziende che veramente ci credono non smetteranno di lavorare sulla sostenibilità.