È stata l’autonomia il tema centrale della Summer School, organizzata a Gallio, da Motore Sanità, un evento che ha richiamato l’attenzione di ben due ministri – quello della Salute Giulia Grillo e quello degli Affari regionali Erika Stefani. La due giorni ha visto tavole rotonde su temi che hanno affrontato nuovi modelli tra il finanziamento del sistema e la crescita economica, i problemi e le soluzioni delle liste di attesa nei sistemi europei, la gestione della cronicità, l’autonomia delle Regioni e la scelta dell’innovazione terapeutica, le modalità del circolo di benchmarking.
Verso l’autonomia differenziata
Ad aprire il confronto tra i politici Erika Stefani: «Governare il cambiamento implica scelte coraggiose. Penso al percorso dell’Autonomia che è a un passo dal compimento. La mia proposta sarà sul tavolo del consiglio dei ministri entro ottobre e sarà una svolta per il Paese. Istituzionalizzeremo un nuovo sistema virtuoso di gestione della cosa pubblica. Alle Regioni che ne hanno fatto richiesta spetterà il compito di gestire in proprio le competenze alle quali corrisponderanno le relative risorse e quindi la responsabilità diretta degli amministratori di offrire ai cittadini servizi efficienti e senza sprechi. In questa evoluzione la sanità sarà chiaramente uno dei settori cruciali».
Dal summit di Motore Sanità sono uscite indicazioni e prese di posizione ufficiali che sono state raccolte in un decalogo’
1. La sanità italiana è tra le prime quattro del mondo, ma è percepita malissimo
Tutti d’accordo che l’assistenza sanitaria in Italia è tra le migliori del mondo – addirittura l’ultima classifica di Bloomberg, Health Care Efficiency, la colloca al quarto posto dopo Hong Kong, Singapore e Spagna – eppure la sanità in Italia è descritta male e percepita ancora peggio dai cittadini.
2. A quarant’anni di età il Servizio sanitario nazionale ha bisogno di “manutenzione”
Oggi ci sono problemi diversi da quelli del 1978, quando l’Ssn è nato, ed è quindi necessaria un’opera di ‘manutenzione’ che preveda di ridisegnare competenze, incarichi e che affronti problematiche 40 anni fa non prevedibili. O comunque non in questa misura, tipo la cronicità.
3. Il numero dei professionisti è sottodimensionato
Abbiamo oggi carenza di professionisti – medici e non – perché li paghiamo troppo poco, sia a livello territoriale, con zone del paese che vedono una carenza organica di medici, sia a livello ospedaliero. E molti preferiscono prendere altre strade.
4. Modificare e aggiornare le competenze dei professionisti della salute
Abbiamo sentito Regioni, come il Trentino Alto Adige, che stanno partendo con un percorso di affidamento alle ostetriche delle gravidanze a basso rischio (che rappresentano più o meno il 90 per cento delle gravidanze) e si stanno organizzando sul territorio. Ecco quindi anche il problema di modificare i compiti delle diverse professioni sanitarie, valorizzando il personale tramite maggiori remunerazioni e nuove competenze.
5. Affrontare l’emergenza cronicità
È la vera emergenza cui dobbiamo far fronte immediatamente, in previsione del fatto che si trasformerà in un problema prioritario negli anni futuri, in una società che invecchia sempre più. È chiaro che la cronicità è destinata ad assorbire progressivamente sempre maggiori risorse economiche, ma è anche l’oggetto di sempre maggiori ricerche che inevitabilmente svilupperanno, in una positiva ottimistica visione razionale, soluzioni tecnologiche sempre più avanzate ed efficaci. Bisogna quindi studiare subito, accanto a nuove forme di assistenza, percorsi che differenzino in maniera chiara urgenza e cronicità.
6. Risolvere il problema delle liste di attesa
Un tema molto sentito, è indispensabile coinvolgere i pazienti e far loro comprendere che non si può avere tutto subito, che accanto ai diritti esistono anche dei doveri di precedenza terapeutica, che quindi va dato peso a un diverso “indicatore di attesa” nel ruolo del Servizio sanitario nazionale e di garanzia dei Lea. È altresì fondamentale agire sulla domanda attraverso politiche dell’appropriatezza clinico-prescrittiva e attraverso codici di priorità. Importante anche agire sull’offerta, aumentando la capacità produttiva, attraverso l’estensione degli orari e dei giorni, con la creazione di percorsi di garanzia, con la presa in carico dei cronici da parte delle strutture senza che il paziente ritorni ogni volta al Cup. E, non ultimo, ipotizzare anche di aumentare i canali di prenotazione.
7. Necessarie modifiche a livello legislativo
Poiché, come detto, il Servizio sanitario nazionale ha bisogno di manutenzione, è indispensabile prevedere quanto prima un Decreto legislativo nazionale di modifica dell’attuale 502-517. Poiché lo Stato non riesce, per mille motivi, a farvi fronte, una serie di Regioni hanno cominciato a dire «noi ci arrangiamo da soli».
8. Prevedere l’avvio della cosiddetta “autonomia differenziata”
Entro ottobre verrà presentato al parlamento il Disegno di legge sull’autonomia “differenziata”: questo significa che le Regioni a statuto speciale debbono passare attraverso un continuo confronto con lo Stato. Autonomia differenziata non significa che lo Stato viene messo da parte e che le Regioni si organizzano ognuna come crede, ma che ognuna ha la possibilità di adeguare offerte e servizi secondo le proprie disponibilità ed esigenze.
9. Coinvolgere i cittadini
Nel corso dell’incontro è emerso in modo chiaro che è assolutamente indispensabile imparare a comunicare con i cittadini, a coinvolgerli e a far loro capire la responsabilizzazione necessaria per migliorare i servizi.
10. Intervenire sui fondi integrativi
In questo momento di “fragilità economica” non è detto che i fondi integrativi debbano permanere così come sono oggi: in questo momento stanno producendo una sorta di ‘consumismo sanitario’ e vanno assolutamente regolamentati. Il sistema sanitario è sottofinanziato e date le previsioni del Mef per il finanziamento futuro è utile normare i fondi integrativi e le mutualità sociali per arginare l’out of pocket.