Un incontro denso di spunti quello organizzato all’ospedale San Gerardo dall’Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) di Monza su “La sostenibilità del Servizio sanitario nazionale alla luce del quadro economico attuale”. Tema quanto mai attuale, all’indomani di un referendum che ha lasciato invariati i rapporti, in sanità, tra governo centrale e Regioni.
Sostenibilità spesso fa rima con razionalizzazione che l’opinione pubblica traduce, in modo brutale ma spesso veritiero, con la parola “tagli”. «Il 36 per cento degli ospedali italiani non rispetta la clinical competence, ovvero gli standard clinici di base», sottolinea Francesco Longo, docente di Economia delle aziende Sanitarie all’Università Bocconi. «Non esistono ricette semplici per governare la sanità, occorre per prima cosa un grande senso di responsabilità sociale da parte dei professionisti del settore, anche nell’educare i cittadini a comportamenti corretti. Certo, se si decide di lasciare attivi i piccoli ospedali che non rispettano certi standard di efficienza si sceglie di non scegliere». Una cosa è certa, secondo Eugenio Pessina, docente di Public management alla Cattolica di Milano: «Le risorse per la sanità non sono destinate a crescere, bisogna lavorare sulla produttività della spesa, anche in termini di valorizzazione delle risorse umane. Non deve succedere, come accade spesso nelle Regioni sottoposte a piano di rientro, che a una riduzione delle spese corrisponda automaticamente un taglio dei servizi». «La crisi economica nel nostro Paese, con l’inevitabile riduzione delle risorse per far fronte al mantenimento della qualità delle cure e all’aumento della domanda di prestazioni», afferma Matteo Stocco, direttore generale della Asst monzese, «è occasione per riflettere su come difendere l’universalità del nostro sistema sanitario». Un altro dilemma, e non da poco, è quello, per la verità ben conosciuto ma che la crisi rischia di aggravare, della disomogeneità dell’assistenza sanitaria sul territorio. «Partendo dal presupposto che è ormai entrato in crisi il modello di welfare europeo», ricorda, Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità, «le ultime indagini statistiche affermano che in Italia i poveri assoluti sono 4,6 milioni e, se parliamo di qualità della vita e prospettive di sviluppo economico, di fronte a un nord che si pone a livello dei vertici continentali, abbiamo un sud che “se la gioca” con Bulgaria, Romania e Grecia».