In farmacia, gli italiani rimangono in media 4 minuti e 10 secondi. Ci stanno un po’ meno gli uomini e un poco di più le donne, soprattutto se hanno un bambino piccolo al seguito. Di questo tempo il 55% – per la precisione 2 minuti e 17 secondi – vengono passati al banco con il farmacista. Per uscire si impiegano 25 secondi: in sostanza la gente paga ed esce senza prestare più alcuna attenzione a ciò che c’è attorno, non si guardano né cartelli né scaffali. Stessa velocità all’ingresso: il cliente della farmacia entra con un obiettivo di acquisto già ben chiaro, nel quale la programmazione prodotto/marca è altissima. Insomma, più del 70% del tempo che si trascorre in farmacia è passato nell’attesa di essere serviti o dall’assistenza alla vendita (consiglio del farmacista), due azioni che si svolgono attorno al banco.
La misurazione dei tempi con cui si sviluppano i processi di acquisto è lo strumento base del “waiting marketing”. Il termine fa riferimento a una tecnica, teorizzata da Diana Derval, che consiste nel comunicare con i clienti dove e quando sono più ricettivi e cioè mentre se ne stanno in coda ad attendere il proprio turno. Chi sta in fila o aspetta mostra un’attenzione alla pubblicità addirittura quadrupla rispetto al normale, il che spiega i monitor nelle stazioni della metropolitana o negli aeroporti. In farmacia invece cartelli e comunicazione sono tutti concentrati nel tratto del percorso in cui il cliente di solito nota poco o niente: quello che va dall’ingresso al banco.
Invece è una volta raggiunto il banco che il cliente si fa più ricettivo. Per accrescerne i sensi può anche servire qualche strumento “taglia-code”, come la macchinetta che dà i numerini. Sembrerà paradossale (perché ridurre la fila se l’attesa stimola?) ma è così: quando c’è troppa gente, chi si mette in coda concentra tutta la sua attenzione sui suoi vicini, per non farsi scavalcare o non perdere il proprio turno; il “numerino”, invece, rasserena e incentiva a guardarsi attorno.
Il waiting marketing, ovviamente, non invita ad allungare i tempi del servizio perché sa che questo significherebbe perdere clienti. L’attesa, infatti, è un parametro fondamentale nel giudizio complessivo che si dà al punto vendita. In media, abbiamo una percezione chiara del tempo trascorso per il primo minuto e mezzo; dopo 90 secondi però la nostra capacità di intuire i giri delle lancette si affievolisce: ci sembra di essere in attesa da cinque minuti e invece ne sono trascorsi solo due. Anche per questo, sarebbe opportuno che i farmacisti misurassero periodicamente i flussi dei clienti e i tempi dei processi di vendita. Quante persone tra quelle che si sono soffermate nel reparto dermocosmesi hanno poi fatto un acquisto? Quanto si ferma la gente nella farmacia? Quanto tempo sosta davanti agli scaffali? Il titolare che non “misura” la sua farmacia non la conosce abbastanza.