Non è difficile trovare apologisti del disordine. C’è chi ne fa una filosofia di vita. Disordine nelle cose: ci sono quelli che riescono a trasformare gli ambienti dove vivono in un incrocio tra un bazar e una discarica e affermano di riuscire a trovare ciò che gli serve soltanto nel loro caos (e che gli altri si arrangino). Disordine nelle azioni: gente che esalta il primato dell’improvvisazione e della situazionalità nell’affrontare i problemi, a scapito della preparazione.
Se nella condotta personale la destrutturazione può essere una scelta di vita che reca (ci crediamo poco) qualche vantaggio, nella gestione dell’attività e del layout di un punto vendita la mancanza di un approccio razionale può generare soltanto inconvenienti. Per fortuna sono sempre di più le farmacie che, seguendo un’impostazione inaugurata dalla GDO e successivamente adottata in tutti i settori della distribuzione, decidono la propria strategia di assortimento e dispiegano la configurazione del punto vendita in modo funzionale, secondo canoni di category management. Ormai in tutti i canali si tende ad abbandonare l’esposizione disordinata che un tempo caratterizzava la maggior parte dei punti vendita, e a imporre un preciso criterio nella disposizione dei prodotti, con l’obiettivo di aiutare i clienti nelle loro scelte, di fornire suggerimenti di acquisto e di disporre di un assortimento ragionato, in grado di limitare il magazzino soddisfacendo nel contempo il più alto numero possibile di richieste.
La gestione per categorie porta vantaggi al distributore e al pubblico, e trova la sua origine nella volontà di razionalizzare e monitorare tutte le aree di consumo presenti nel punto vendita, considerando la categoria stessa come un centro di profitto di cui si calcola la redditività. Una sorta di azienda nell’azienda.
La definizione delle categorie
“Non vedete che i libri più alti devono stare sul piano superiore, quelli meno alti su quello inferiore e così via? In tal modo abbiamo l’ordine, il metodo che, come vi ho sempre detto, Hastings …”
Questo era il concetto di ordine in una libreria secondo Hercule Poirot, il grande investigatore creato da Agatha Christie. D’accordo, ma in farmacia è bene che funzioni in modo diverso. Non si tratta di sistemare i prodotti secondo la grandezza delle confezioni, ma di definire le macrocategorie, poi, all’interno, le categorie e infine i prodotti. Quando nacque il category management, il criterio classificativo era prettamente merceologico, poi si preferì rispecchiare le mappe mentali del pubblico, che non ragiona strettamente in termini di prodotti ma preferibilmente in base a occasioni d’uso. E quindi le categorie oggi sono, piuttosto che tabelle merceologiche, concetti, come “maternità”, dove si mettono insieme biberon, creme antismagliature, succhiotti, pannolini e integratori per puerpere, eccetera, o “vacanze”, raggruppando prodotti solari, antizanzare, veline profumate, occhiali da sole e via dicendo.
Implicazioni del category management
La scelta delle categorie va fatta secondo la loro potenzialità presso il bacino di utenza della farmacia e la loro profittabilità. All’interno delle categorie, è importante la scelta dei prodotti: bisogna dirigersi verso i leader di mercato, ma anche coprire tutte le fasce di consumo, trascurando, eventualmente, soltanto le nicchie poco produttive. In alcuni casi è bene inserire lo stesso prodotto anche in più di una categoria, se lo stesso appartiene a diversi momenti di consumo. Nell’esposizione, il category management si deve sposare con il merchandising, che nel punto vendita è il suo fratello gemello. Costruiti con sapienza, i gruppi del “category” suggeriscono acquisti che altrimenti sarebbero persi, e rendono più semplice e più divertente la spesa del cliente: i classici due piccioni con una fava.