Soffia un vento gelido sul nostro Paese a causa di una congiuntura particolarmente sfortunata: borsa instabile, sistema bancario in crisi, la frenata della Cina, il terrorismo, i flussi migratori, tutta una serie di fattori che stanno rallentando la tanto auspicata ripresa. L’ombra di una stagnazione secolare, prospettata da molti esperti, si fa sempre più reale anche se qualche timido segnale di ripresa lo abbiamo, ma viviamo sempre con il terrore che si tratti di un fuoco di paglia.
L’Italia è il Paese con il tasso di disoccupazione più alto dell’ultimo ventennio, un giovane su due non lavora. Uno spreco di capitale intellettuale non degno di una Paese civile quale aspiriamo a essere considerati dal resto del Mondo. Dal 2007 a oggi si quantificano in 47 miliardi di euro i minori risparmi degli italiani e in 75 miliardi i mancati consumi, per un saldo negativo di 122 miliardi di euro. In questo scenario non certo edificante ci troviamo a operare in mercati, in cui prodotti e tecnologie evolvono tutti a velocità supersonica tanto da darci la garanzia che non ci sia più niente di fisso. Siamo entrati nella società liquida che si contraddistingue per i tanti cambiamenti impronosticabili prima, difficili da prevedere e di un livello di complessità sempre in ascesa. Serve una velocità idonea al contesto e non ci si possono più permettere incertezze o lentezze. Bisogna essere agili per aggiustare la rotta in tempi molto rapidi. Per cambiare rotta però sono necessari: capitale umano, capacità di ascolto, cultura del rischio, tecnologia, visione strategica, competenze, incentivi, risorse, un piano di azione e certamente, cooperazione e per governare il mercato, bisogna saperlo anticipare. Non si innova se non si conosce la tecnologia e soprattutto non si può innovare da soli. L’innovazione distruttrice, teorizzata da Clayton Christensen, è un vasto campione di innovazioni che coinvolgono diversi settori, dalla robotica alla medicina. Colpirà tutti, visto che si prevede che nel 2020 le nostre strade saranno percorse da auto che si guidano da sole. La Google Car oggi è in avanzata fase di studio e si pone l’obiettivo di eliminare l’errore umano dalla guida, fattore che si stima sia la causa del 90 per cento degli incidenti che avvengono in strada ogni anno nel pianeta. I nostri cellulari si prenderanno cura di noi, perché alcuni sensori posti nel nostro corpo comunicheranno loro il nostro stato di salute e ci avvertiranno quando staremo per ammalarci. Le medicine saranno fatte su misura, in base al nostro organismo, alle nostre esigenze e alla nostra storia medica.
Non esiste un solo settore che nei prossimi anni non verrà travolto dal progresso della tecnologia. Oggi esiste già un androide da cucina, che sarà in commercio dal 2017 e che potrà cucinare a casa nostra. Alcune aziende vinicole adotteranno i tappi intelligenti che avvicinati a un smartphone, comunicheranno il sito del produttore e altre informazioni sul prodotto imbottigliato. Scaricando la app di Just Eat si possono sperimentare nuove cucine e sapori lontani. Basta inserire città, numero civico e cap negli appositi spazi e ci appare la lista dei ristornanti associati più vicini a noi, per prenotare un tavolo oppure ordinare e ricevere il cibo prescelto direttamente a casa nostra. Tutte le aziende che non riusciranno a tenere il passo, si troveranno in grande difficoltà. La storia ci insegna che mantenere la leadership nel tempo è molto arduo. La graduatoria delle migliori aziende è in continua evoluzione e se guardassimo alla lista di venti anni fa, scopriremmo che la maggior parte di quelle presenti allora oggi non esistono più. È necessario un business model nuovo, perché non si può affrontare il futuro seguendo i modelli sviluppati nel passato. La trappola del leader è una “brutta bestia”, in cui dobbiamo cercare di non incorrere. Il difficile nasce dal fatto che quando si è i primi, non c’è nessuno da seguire.
Per spiegare meglio di cosa sto parlando, racconto sempre un aneddoto che ci fa capire come si possa cadere in errore quando non si guarda la realtà dalla giusta prospettiva, ma invece ci si fa acciecare dalle proprie convinzioni senza analizzare acriticamente il contesto. Si narra che una notte l’Ammiraglio Wellington fu svegliato all’improvviso dal suo attendente che, preoccupato, gli disse che c’era una nave di fronte a loro in rotta di collisione. Wellington disse: «Comunicate alla nave che si sposti di 30 gradi verso Sud». Dopo un poco l’attendente tornò alla gabina del suo capo e gli disse: «Ammiraglio mi scusi, ma chiedono a noi di modificare la rotta». Allora l’Ammiraglio molto scocciato, si alzò e andò indispettito alla radio dicendo: «Sono l’Ammiraglio Wellington, Comandante della nave inglese Queen Mary. Vi ordino di modificare la vostra rotta di 30 gradi Sud, altrimenti adotteremo misure drastiche». La risposta via radio non tardò ad arrivare: «Sono un marinaio di seconda classe ma vi esorto lo stesso a correggere voi la rotta di 30 gradi». Allora l’Ammiraglio, infuriato disse: «Ma io sono una nave da guerra, cambiate rotta o apriremo il fuoco!». E dall’altra parte il marinaio gli rispose laconicamente: «Ammiraglio Wellington, qui è il faro di Capo Horn, io non posso spostarmi». Un vecchio adagio, caro ai manager più illuminati, dice che le imprese poco competitive ignorano i concorrenti, quelle mediocri li copiano, mentre quelle vincenti guidano la concorrenza.