Sono parecchi gli indici utilizzati dagli esperti per misurare alti e bassi dell’economia, della produzione e variazioni del potere d’acquisto: Pil, fiducia dei consumatori, prezzi delle materie prime, costo del petrolio al barile, costo del denaro, livello dell’occupazione, Big Mac, Tall Latte index e via andare. Ne vorrei proporre uno che fotografi la curva tracciata dalla marginalità dell’impresa farmacia in questi ultimi trent’anni circa: l’indice Aulin. Il nome, come tutti avranno capito, è preso a prestito da quello del medicinale con cui nel 1985 venne commercializzata per la prima volta in Italia la nimesulide: il prezzo al pubblico ammontava a circa 27mila lire, pari a circa 14 euro. Oggi invece il prezzo di una confezione di Aulin si ferma a 4,43 euro, mentre quello di un equivalente è 2,62 euro. Morale: per mettere assieme 14 euro, nel 1985 sarebbe bastato vendere una sola confezione di Aulin; oggi invece ne servono tre. Oppure cinque, se parliamo di un equivalente.
Il merito dell’indice Aulin (che per dovere di cronaca non è farina del mio sacco, ma è stato formulato per la prima volta all’interno della Cooperativa Cef, dal direttore generale Giuseppe Capretti) è quello di riassumere alla perfezione il dilemma con cui oggi deve fare i conti la farmacia nella sua principale area di mercato, quella del farmaco: a prescindere dall’effetto inflazione, per realizzare gli stessi fatturati di una trentina di anni fa è necessario vendere molti più pezzi. In altri termini, sul farmaco si possono ottenere gli stessi volumi di fatturato di un tempo soltanto a patto di lavorare di più. Non è impossibile, ma faticoso sì: come ho già scritto diverse volte in passato, il farmaco è caratterizzato da una domanda anelastica perché legata al bisogno specifico; per accrescere i volumi, quindi, è inutile o poco fruttuoso premere sul singolo consumatore per fargli comprare più pezzi, dà invece migliori risultati “allargare” la clientela sottraendola ad altri punti vendita. Non a caso, negli ultimi anni il canale ha visto un netto aumento della competizione tra farmacie, che è andata ad aggiungersi alla competizione extracanale innescata dalle liberalizzazioni del 2006. E all’orizzonte si profila l’apertura di altre 2.500 farmacie, partorite dal concorso straordinario del decreto “Cresci-Italia” del 2012.
Per difendere fatturati e redditività, tuttavia, ci sono anche altre leve che agiscono non tanto sui volumi quanto sulla marginalità. Mi è già capitato di scriverne: in un’occasione, per esempio, avevo parlato dei risultati che si possono conseguire applicando politiche di pricing ben calibrate, che guardino al prezzo “giusto” per ogni tasca. Poi si possono migliorare anche le politiche di acquisto, ossia la contrattazione con i fornitori. E ancora, ridurre i costi sostenuti dall’impresa farmacia, eliminando gli sprechi e migliorando in efficienza la propria organizzazione. Agire sapientemente su tali leve non è facile e serve una certa competenza. Ci sono titolari che mostrano doti innate da “capitano d’impresa”, mentre altri provano un evidente disagio e preferiscono dedicarsi all’attività professionale al banco. Per costoro, l’unica strada da percorrere per reagire all’indice Aulin è quella dell’aggregazione: gruppi di acquisto, insegne, reti, catene, cooperative. L’associazionismo, infatti, consente agli appartenenti al gruppo di delegare le funzioni più “gestionali” a esperti di negoziazione, pricing, marketing, gestione del personale, finanza e controllo di gestione. Perché lo fanno di mestiere.
Quello dell’integrazione è un fenomeno ancora marginale nel canale farmacia (dove secondo alcune fonti non coinvolge più del 30% dei punti vendita), si sta facendo invece sempre più intenso nel comparto della distribuzione intermedia del farmaco. Qui sono in costante crescita le concentrazioni: tra il 2001 e il 2009 il numero delle società operanti sul mercato italiano è calato di una sessantina di unità (da 198 a 133, fonte Federfarma Servizi), molte altre sono sparite nell’ultimo quinquennio e altre ancora le seguiranno nell’immediato futuro: secondo alcuni esperti, negli anni a venire i magazzini con una massa critica inferiore ai 200 milioni di fatturato annuo troveranno sempre più difficile rimanere sul mercato, a causa dell’indice Aulin e delle chiusure del mercato del credito (sempre meno “amichevole” verso il comparto farmaceutico).
E’ arrivato il momento di guardare alle esperienze di altri paesi: tra le cooperative della distribuzione, per esempio, chi tifa per l’integrazione invita spesso a guardare alla Spagna, dove la Cofares (Cooperativa farmaceutica spagnola), copre da sola il 75% del mercato iberico; le farmacie, invece, potrebbero guardare alla Francia e ai groupement.