Daniel Goleman, noto psicologo americano, definì «intelligenza emotiva» quell’apertura verso i propri simili che all’essere umano serve per interagire e vivere, in ambito sociale così come lavorativo. Senza questa dote, altrimenti nota come “empatia”, le altre qualità non bastano, anche messe assieme: né il quoziente intellettivo, né una memoria solida o una logica ferrea. Osservare e capire davvero gli altri per interagire nel modo migliore con loro è una capacità sociale indispensabile.
Di recente ho raccolto le lamentele di una parente che nel corso di un esame di laboratorio si era trovata davanti una giovane dottoressa dal comportamento freddo, quasi scortese. Mi disse che il medico avrebbe dovuto fare un bel corso Ecm di cortesia. Sono d’accordo: anche quando faccio compere in un negozio o al supermercato, mi capita spesso di imbattermi in titolari o addetti dai modi “scostanti”. Eppure, nella nostra società c’è oggi uno sconfinato fabbisogno di empatia e intelligenza emotiva.
Il caso della dottoressa rimanda a una questione che è di stretta attualità anche per i farmacisti: si può immaginare la competenza professionale senza la competenza relazionale? La risposta è semplice: no. E la prima non può compensare dosi insufficienti della seconda. La comprensione empatica consiste nell’immedesimarsi nell’interlocutore per metterlo a proprio agio e comprendere il suo punto di vista, senza però assumerlo come proprio. Tutti i professionisti che nel proprio lavoro utilizzano la comunicazione (consulenti, docenti, politici e così via) dovrebbero essere formati sulle tecniche di gestione dell’interazione. Vale anche e soprattutto per le farmacie: “cosa” si comunica nel punto vendita va strettamente al passo con “come” lo si comunica. La farmacia parla al consumatore con tutta se stessa: il lay-out, i cartelli, la selezione dei prodotti, l’esposizione e, soprattutto, la professionalità e l’accoglienza degli addetti. I clienti della farmacia sono particolarmente sensibili alla relzione: la motivazione d’acquisto sovente non è di tipo ludico o di piacere e quindi le aspettative di cura e attenzione sono più elevate. Di norma, si tratta di pazienti più che clienti, con necessità e bisogni specifici che richiedono professionalità e competenza. E, per l’appunto, empatia: quindi ascolto, capacità di verbalizzare anche il non detto e attenzione.
Empatia, però, non è soltanto saper parlare o ascoltare, vuole anche dire mettere a proprio agio il cliente con una serie di accorgimenti anche “non verbali”. Per esempio un angolo di attesa dove anziani o donne in gravidanza possono attendere seduti il proprio turno. Oppure la semplice fidelity card, che in farmacia può diventare strumento di contatto e comunicazion: traccia i dati del cliente, permette di individuare le sue preferenze e quindi agevola l’empatia. Con la fidelity card è possibile offrire ai clienti un percorso salute specifico che generi una o più occasioni di contatto con gli operatori della farmacia e superare così la fredda raccolta punti per sconti o premi.
Nessuno nasce “imparato” però, anche in ambito emotivo. Quando qualcosa non si sa però la si può apprendere e, nel caso del farmacista, è doveroso visto il target d’utenza. E’ possibile imparare a sviluppare un rapporto empatico nelle relazioni umane, per curare il paziente e la vendita nella maniera corretta. Esistono workshop, training e laboratori volti a imparare tecniche di vendita basate sull’ascolto, sull’empatia, sulla gestione della comunicazione e dei conflitti. E’ un buon investimento per la farmacia, compatibilmente con il budget e il piano strategico stilato a inizio d’anno. Poi, nell’attività quotidiana al banco, si possono sempre mettere in pratica alcuni semplici accorgimenti:
– usare un linguaggio semplice e, nel caso, l’ironia per accorciare le distanze tra voi e il cliente;
– mettere da parte l’etichetta “io sono il farmacista”: uscire dal banco e rompere la barriera fisica con il cliente;
– fare domande e creare un ascolto attivo.
L’empatia non è solo comunicazione verbale
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