Il 1 dicembre, presso la sede del Cnel a Roma è stato presnetato il 51° rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del nostro Paese.
La ripresa
Dal rapporto emerge che la ripresa c’è, come confermano tutti gli indicatori economici. Ad eccezione degli investimenti pubblici: -32,5% in termini reali nel 2016 rispetto all’ultimo anno prima della crisi. È l’industria uno dei baricentri della ripresa. L’incremento del 2,3% della produzione industriale italiana nel primo semestre del 2017 è il migliore tra i principali Paesi europei. E cresce al +4,1% nel terzo trimestre dell’anno. Il valore aggiunto per addetto nel manifatturiero è aumentato del 22,1% in sette anni, superando la produttività dei servizi. Inarrestabile è la capacità di esportare delle aziende del made in Italy: il saldo commerciale nel 2016 è pari a 99,6 miliardi di euro, quasi il doppio del saldo complessivo dell’export di beni (51,5 miliardi). La quota dell’Italia sull’export manifatturiero del mondo è oggi del 3,4%.
I consumi
Tra il 2013 e il 2016 la spesa per i consumi delle famiglie è cresciuta complessivamente di 42,4 miliardi di euro (+4% in termini reali nei tre anni), segnando la risalita dopo il grande tonfo. Non sono soldi aggiuntivi per tornare sui passi dei consumi perduti, ma servono per accedere qui e ora a una buona qualità quotidiana della vita. Nell’ultimo anno gli italiani hanno speso 80 miliardi di euro per la ristorazione (+5% nel biennio 2014-2016), 29 miliardi per la cultura e il loisir (+3,8%), 25,1 miliardi per la cura e il benessere soggettivo (parrucchieri 11,3 miliardi, prodotti cosmetici 11,2 miliardi, trattamenti di bellezza 2,5 miliardi), 25 miliardi per alberghi (+7,2%), 6,4 miliardi per pacchetti vacanze (+10,2%). Dopo gli anni del severo scrutinio dei consumi, torna il primato dello stile di vita e del benessere soggettivo, dall’estetica al tempo libero. La somma delle piccole cose che contano genera la felicità quotidiana: è un coccolarsi di massa. Ecco perché il 78,2% degli italiani si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della vita che conduce. E ora il 45,4% è pronto a spendere un po’ di più per poter fare almeno una vacanza all’anno, il 40,8% per acquistare prodotti alimentari di qualità (Dop, Igp, tipici), il 32,3% per mangiare in ristoranti e trattorie, il 24,7% per comprare abiti e accessori a cui tiene, il 17,4% per il nuovo smartphone, il 16,9% per mostre, cinema, teatro, spettacoli, il 15,2% per attività sportive, il 12,5% per abbonamenti pay tv o a piattaforme web di intrattenimento.
La ripresa nel territorio
Per tante e diverse ragioni, nell’uscita dalla crisi le grandi città hanno assunto ancora più importanza. Sul piano delle funzioni, sono sempre più protagoniste della crescente domanda di servizi qualificati: una domanda legata alla necessità delle imprese di uscire dalla dimensione locale e di operare in mercati più ampi, di dimensione nazionale o internazionale, e quindi di ricorrere a servizi specializzati.
Se si guardano le dinamiche interne alle stesse città metropolitane, si vede che negli ultimi anni nella maggior parte dei casi (fanno eccezione Genova, Venezia e Napoli) i capoluoghi crescono di più delle loro cinture.
Nel periodo 2007-2014, anni in cui il Pil del Paese è calato di 7,8 punti percentuali emerge come le grandi aree urbane del Sud, quelle di Napoli, Palermo e Catania, hanno registrato un vero tracollo, perdendo circa il 14%; le città metropolitane di Genova, Torino e Bari hanno registrato un calo superiore alla media nazionale (circa 10 punti percentuali); l’area romana (-8,6%) e quella veneziana (-7,2%) hanno avuto una dinamica negativa sostanzialmente in linea con quella del Paese; i territori delle città metropolitane di Firenze (-5,3%) e di Bologna
(-4,7%) hanno contenuto le perdite; l’area milanese ha registrato di gran lunga la performance migliore, con
una contrazione del valore aggiunto inferiore a 3 punti percentuali.