Mancano ancora tre mesi all’appuntamento ma nel mondo della produzione e del commercio l’allarme è già scattato. Perché fa paura la norma che a luglio dovrebbe alzare di un altro punto l’aliquota massima dell’Iva, dal 21 al 22%. Il provvedimento deriva dalla Legge di stabilità per il 2013, che a sua volta modificava quanto nell’estate scorsa aveva decretato la Spending review, nella quale si prevedeva un aumento di addirittura due punti.
Il mezzo passo indietro del Governo, però, non sembra bastare e anche se alla scadenza mancano ancora tre mesi già si registrano i primi accorati appelli. Come quello di Federdistribuzione, sigla delle insegne del mass market, che con il suo presidente Giovanni Cobolli Gigli chiede un ripensamento: «Insistiamo perché il nuovo Governo intervenga in maniera efficace sull’economia del Paese e in particolare eviti l’aumento dell’Iva previsto a luglio». L’esortazione deriva dai poco entusiasmanti dati sui consumi di gennaio: nonostante i prezzi continuino a calare (con l’inflazione che lascia altri due decimali nel primo bimestre del 2013) nel primo mese del nuovo anno le vendite hanno fatto segnare un -3% che sembra confermare la persistenza di una sfiducia diffusa tra il pubblico. Un punto in più sull’aliquota che si applica ai principali generi di consumo, è in sostanza la preoccupazione della Gdo, sarebbe una mazzata tremenda. Stesse considerazioni in Confcommercio, che oltre a premere per un accantonamento della misura sull’Iva chiede anche il rinvio della Tares, la nuova imposta sui rifiuti e sui servizi che sempre da luglio sostituirà la Tarsu (con un’altra mazzata per le imprese, sostengono gli esperti).
Ma analoghi timori cominciano a farsi strada anche tra chi lavora nel canale farmacia: l’area di libero commercio, dove si concentrano le categorie merceologiche soggette all’aliquota massima, rappresenta ormai il 40% del fatturato del canale ma in termini di marginalità pura supera anche il 50%. Un’eventuale stretta sulle vendite derivante dall’aumento dell’Iva metterebbe in difficoltà parecchi titolari. «Se il provvedimento fosse confermato» è il parere di Giancarlo Esperti, direttore generale di Federfarma Servizi, la sigla che rappresenta le cooperative della distribuzione intermedia «si allargherebbe ulteriormente l’instabilità del comparto: una farmacia sempre meno solida dal punto di vista finanziario significa cooperative dalle radici più deboli; se non si interviene al più presto si rischia una crisi sistemica». Riflessioni dello stesso tenore da Adf, l’associazione che rappresenta le società della distribuzione intermedia: sull’Iva si lascia che a difendere la posizione delle aziende sia Confcommercio (cui Adf è associata) ma agli altri attori della filiera è già stata trasmessa la proposta di riunire un tavolo al quale esaminare le criticità più impellenti del comparto, a partire da quelle finanziarie.
Tra i produttori, infine, la questione Iva è monitorata con attenzione da Federsalus (la sigla delle imprese di prodotti salutistici), che però prima di preoccuparsi per il punto in più in arrivo a luglio intende risolvere l’annosa questione della doppia aliquota: in mancanza di un codice univoco di nomenclatura, Agenzia delle entrate e dogane applicano ai prodotti salutistici la fascia d’Imposta vigente per gli alimentari affini, da cui due diverse aliquote (il 21 o il 10%) per integratori che poi si fanno concorrenza sugli scaffali dei punti vendita. E un incremento dell’aliquota massima allargherebbe ulteriormente la forbice.