Non solo la prima casa ma anche i fabbricati industriali e agricoli. Forse. Potrebbe essere esteso anche alle imprese il rinvio della rata di giugno dell’Imu, la contestata imposta che il governo conta di riformare per settembre. Questa almeno è la nuova ipotesi alla quale starebbe lavorando il ministero dell’Economia, in uno spazio di manovra peraltro ristrettissimo perché l’Italia deve comunque restare sotto al 3% nel rapporto deficit-Pil. Si confermasse l’operazione, per le imprese – del farmaco e non – rappresenterebbe una boccata d’ossigeno non indifferente, anche alla luce delle cifre che ci sarebbero da sborsare quest’anno. Qualche giorno fa, giovedì 9 maggio, Il Sole 24 Ore aveva proposto alcune stime divise per città sul peso della rata di giugno per aziende, attività commerciali e uffici, e le cifre che ne sono emerse appaiono pesanti.
Una farmacia di 100 metri quadri ubicata in centro città dovrebbe sborsare tra un mese un acconto più alto del 40% rispetto all’anno scorso: a Milano 1.800 euro, a Roma 2.800, a Torino 1.600, a Bologna 1.950, a Napoli 738 e a Lecce 860. La colpa non è di ritocchi verso l’alto della base imponibile, ma del fatto che quest’anno nel calcolo della rata entra l’aliquota municipale 2012. Risultato, nel 50% dei comuni i titolari che detengono l’immobile in cui ha sede la farmacia si troveranno a pagare un acconto più caro anche di 800 euro.
Va persino peggio alle aziende farmaceutiche e ai distributori all’ingrosso che detengono la proprietà dei capannoni o degli immobili strumentali all’attività: il decreto “Salva-Italia”, infatti, fa scattare da quest’anno un incremento dell’8,3% dei valori fiscali di riferimento, il che significa aumenti medi del 51% con punte anche del 200%. Anche qui Il Sole 24 Ore offre qualche esempio: un capannone di 2mila metri quadri dovrebbe pagare a Milano più di 18mila euro, a Roma 17.700, a Torino 15.800, a Bologna 17.400, a Napoli 18mila e a Lecce 9mila euro. Sempre che il governo non dica stop.