Il titolo dell’immortale canzone di Simon e Garfunkel, resa famosa dal film “Il laureato”, non è soltanto uno degli ossimori tanto cari a Paul Simon, ma, dal punto di vista comunicazionale, che il silenzio possa far rumore, e comunque abbia sempre un significato, è una grande realtà. “Non si può non comunicare” recita il primo assioma della comunicazione dello psicologo Paul Watzlawik, e allora anche il silenzio è un messaggio.
In realtà ci sono molti tipi di silenzio.
Il silenzio consenziente. Chi tace acconsente, si dice. È il silenzio di chi non ribatte, non si oppone e quindi implicitamente accetta quanto gli è stato comunicato, spesso senza nessun entusiasmo.
Il silenzio ignorante. La scena muta di chi non sa, non capisce, non è in grado di dare una risposta adeguata. Molto praticato da certi studenti.
Il silenzio imbarazzato. Quando, per educazione o per disorientamento rimaniamo muti di fronte a un linguaggio volgare, una domanda scomoda o inattesa, una situazione scabrosa. Quando, insomma, un maleducato ci coglie impreparati.
Il silenzio annoiato. È quello di chi non risponde perché non è interessato, si è distratto e sta pensando ad altro.
Il silenzio arrabbiato, ma responsabile. La bocca serrata di chi non vuole dire qualcosa di cui potrebbe pentirsi. Il calciatore furibondo con l’arbitro, che però vuole evitare l’espulsione, l’automobilista fermato dal vigile, che pensa di aver ragione ma non vuole rischiare una denuncia per oltraggio. “Un bel tacer non fu mai scritto” dice il proverbio.
Il silenzio arrogante. Quello di chi disprezza o non considera l’interlocutore. Non gli parla e non lo guarda. Quello del padrino che non ha alcuna stima per il quacquaraquà, ma neanche per gli onesti.
Il silenzio impenetrabile del pokerista. A parte le dichiarazioni d’obbligo, l’atteggiamento da sfinge del giocatore che non vuol lasciare trapelare il suo gioco e il suo stato d’animo per non aiutare gli avversari.
Il silenzio del tressette. Nel popolare gioco di carte esistono segnali accettati ufficialmente (busso, striscio…), però non si parla. “Il tresette è stato inventato da quattro muti” si dice a chi viola la regola del silenzio.
Il silenzio stampa delle società sportive. Quando una società si ritiene danneggiata dagli arbitraggi (anche se ora c’è il VAR a risolvere molti casi dubbi) o maltrattata dai giornalisti, si mette in silenzio stampa. Bocche cucite a fronte di tutte le domande.
Il silenzio punitivo. “Non ti parlo più” dice la mamma al bambino disubbidiente. Succede anche tra adulti. E talvolta questo tipo di silenzio è la peggiore delle risposte, perché può significare “tu non esisti”, “tu per me sei come morto”.
Il silenzio che crea suspence. Qualcuno si ricorda i silenzi di Craxi?
Il silenzio del detective. In certi casi, chi viene sottoposto a un interrogatorio viene innervosito dai silenzi degli investigatori per una sorta di “horror vacui”, e tende a parlare per riempire il vuoto di chi pone le domande, e magari dice qualcosa di compromettente. L’inquisitore lo sa e così intervalla domande a silenzi.
Il silenzio rispettoso e doloroso. Quello in presenza di un defunto o nei momenti di commemorazione.
Il silenzio del sospettato di reato. “Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale.” È l’inizio del “Miranda warning”, l’avviso che, dopo un caso attinente tale Ernesto Arturo Miranda, per decisione della Corte Suprema i poliziotti USA devono leggere agli arrestati, informandoli che, se interrogati, possono tacere e chiedere l’assistenza di un avvocato.
Oltre alle circostanze, a dare significato ai diversi silenzi saranno gestualità, espressioni, posture. Il linguaggio del corpo, insomma, spesso, per chi lo sa interpretare, è eloquente quanto un discorso.
In farmacia, però, non c’è mai silenzio a fronte delle richieste del pubblico, bensì ci sono risposte. Non solo, ma, come recitava una pubblicità di un po’ di anni fa, “in farmacia qualsiasi risposta non è una risposta qualsiasi”.