Un recente studio osserva come le persone anziane, con l’aumentare dell’età e il graduale decadimento cognitivo, abbiano crescenti difficoltà a gestire due importanti elementi della vita quotidiana: il denaro e i farmaci. Vediamo insieme quali spunti offre lo studio e approfondiamo con Marco Trabucchi, Presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, Direttore Scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e Professore ordinario di Neuropsicofarmacologia presso l’Università di Roma “Tor Vergata” per la migliore gestione del rapporto con il cliente anziano.
Cosa cambia nel tempo dopo i 65 anni
Lo studio pubblicato sul “Journal of the American Geriatric Society” (J Am Geriatr Soc, 2017 Apr 5. [Epub ahead of print]) di coorte e prospettico – condotto da ricercatori delle Università di Utrecht (Olanda) e di California, San Francisco (USA) – è basato su dati tratti dall’Health and Retirement Study (HRS), una ricerca a lungo termine su anziani rappresentativi della popolazione americana. Sono stati selezionati circa novemilaquattrocento partecipanti, di età pari o superiore a sessantacinque anni, che non necessitavano di aiuto nel gestire farmaci o denaro nel 2002. Sono poi stati effettuate valutazioni di follow-up ogni due anni fino al 2012. Nell’arco di dieci anni l’incidenza delle difficoltà è aumentata marcatamente con l’avanzare dell’età, con un range compreso tra il 10,3% in relazione alla gestione dei farmaci e il 23,1% relativamente a quella del denaro nei soggetti di età compresa tra sessantacinque e sessantanove anni, fino ad arrivare rispettivamente, al 38,2% e al 69% negli individui di età superiore agli ottantacinque anni. Le donne, inoltre, hanno evidenziato una maggiore propensione a sviluppare tali difficoltà rispetto agli uomini. «Questo studio» concludono gli autori «sottolinea l’importanza di preparare le persone più anziane alla possibilità di avere bisogno di assistenza nel gestire i farmaci e il denaro dato che il rischio di avere problemi in tal senso è consistente con l’andare del tempo».
Il parere dell’esperto
Alla luce di queste evidenze, abbiamo chiesto a Marco Trabucchi quale sia l’atteggiamento migliore da tenere quando in farmacia entra una persona anziana. «In questi casi il farmacista» afferma «salvo che non abbia grossi problemi, come per esempio gestire un momento di particolare affollamento nell’esercizio, deve innanzitutto dedicare attenzione all’aspetto fisico della persona così da capire subito se è un anziano sano o malato, magari vestito male e con la dentatura non in ordine e quindi povero». Basta un’occhiata attenta. «Poi, nel momento in cui questa persona presenta la ricetta al farmacista, si verifica se ha un comportamento che si può definire normale, ovvero se saluta e fa una domanda razionale» prosegue il geriatra. «In sostanza il farmacista deve fare quello che i medici definiscono “assessment multidimensionale”, che non richiede in realtà più di 30 secondi. Ciò consente di avere un’idea complessiva della condizione del cliente: vecchio/non tanto vecchio, malato/non malato, povero/ricco, colto/ignorante, autonomo/non autonomo, ben tenuto/mal tenuto e quindi con o senza una famiglia alle spalle. Ciò richiede al farmacista attenzione, sensibilità, cultura, un po’ di tempo ma anche generosità e quindi interesse per l’altro».
La gestione dei farmaci e del denaro
La seconda tappa, spiega Trabucchi, consiste nel verificare se la persona in questione chiede un farmaco da banco, un generico, un branded e, nel momento in cui il medicinale gli viene dato, occorre cercare di capire qual è la sua capacità di agire in maniera autonoma. «Se il farmaco è per una tra le malattie più gravi tutto è più semplice perché di solito c’è qualcuno che segue il paziente, mentre nel caso di un antibiotico o di un farmaco per il cuore, per esempio, è opportuno sempre chiedere quante volte lo assume, da quanto tempo, se sta seguendo le raccomandazioni del proprio medico» sottolinea Trabucchi. «Se il farmacista capisce che il paziente non è in grado di seguire una terapia in modo autonomo e quindi è a rischio di fare confusione o di non seguire le regole deve raccomandargli innanzitutto di parlarne con chi lo segue a casa (per esempio la figlia, la moglie o il fratello) oppure dire qualcosa come «mi pare che lei debba tornare dal suo medico di famiglia perché non ha le idee chiare». Una terza possibilità, più semplice, consiste nello scrivere su un foglio di carta poche indicazioni del tipo “questa è la sua malattia e questa medicina si deve prendere alle 8 a stomaco vuoto poi a mezzogiorno etc.” facendo un piccolo intervento educativo pratico». Il momento del pagamento rientra nella logica del capire chi si ha davanti, sostiene il geriatra. «Se per esempio il cliente dà cinquanta euro mentre deve pagarne tre per un farmaco generico oppure gli si chiedono tre euro e mezzo e non è in grado di riconoscere le monete, questo è un altro momento nel quale il farmacista in un certo senso fa diagnosi. Se una persona non è in grado di pagare tre euro e mezzo per una medicina sarà difficile che poi riesca a gestire da solo cinque o sei farmaci contemporaneamente. Quindi diventa ancora più pressante il richiamo dei parenti o del medico o eventualmente l’aiuto con la compilazione del foglio».
La fidelizzazione dovuta alle attenzioni
Quanto detto sopra non è solo un atto di generosità e altruismo, ma può avere anche vantaggi in termini di fidelizzazione del cliente. «Non c’è niente di male a considerare che questi atteggiamenti siano anche un modo di attirare una persona fragile» afferma Trabucchi. «Nel momento in cui si aiuta una persona con qualche difficoltà quest’ultima è riconoscente e si avvicina di più alla persona che lo ha aiutato. È quindi un rapporto di vantaggio reciproco. Questo vale nell’assistenza di tutti i giorni anche con i medici: il paziente si rivolge a chi lo tratta bene. Quindi avere particolari attenzioni ai bisogni di un cliente anziano implica che molto probabilmente questo tornerà».