Deospedalizzazione dei servizi sanitari, nuove formule di pricing per gestire i farmaci più innovativi e costosi, arretramento della copertura pubblica e incremento della sanità privata. Sono i fenomeni che nel comparto farmaceutico caratterizzeranno il prossimo quadriennio secondo gli esperti intervenuti alle giornate dell’Asis, l’Associazione studi sull’industria della salute. Ospitata a Tirrenia (in provincia di Pisa) dal 21 al 23 marzo, la tre giorni di convegni, dibattiti e seminari ha provato a gettare un occhio su quello che sarà il futuro prossimo del comparto. Ne risulta una fotografia ricca di chiaroscuri. Il mercato del farmaco, ha detto per esempio Sergio Liberatore, managing director di Ims Health, continuerà a crescere a livello globale e nel 2016 arriverà a toccare i 1.200 miliardi di dollari. «Ma a fare da locomotiva» ha aggiunto «saranno i paesi emergenti, che faranno registrare incrementi a doppia cifra. Nei mercati maturi, invece, la crescita procederà a passo ridotto, in Italia tra lo zero e il 3%». Nel nostro paese, in particolare, non dovrebbe invertirsi il trend registrato negli ultimi anni: «Il mercato ospedaliero crescerà del 3,5%» ha stimato Liberatore «quello retail – cioè della farmacia – calerà dell’1,5%».
L’incremento della spesa ospedaliera, alimentato dalle nuove generazioni di farmaci, costringerà il sistema sanitario a scelte difficili. «E’ probabile che la copertura pubblica si concentrerà soltanto sulle cronicità» ha detto Renato Ridella, partner di At Kearney «con il delisting in fascia C di un numero sempre più esteso di farmaci destinati al trattamento di patologie a basso impatto, come quelle dermatologiche». Parallelamente, ha stimato ancora Ridella, il pubblico ricorrerà sempre più spesso a nuove formule di rimborso nei confronti dei produttori di farmaci: per esempio il “price per patient” anziché per “pill”, ossia farmaci “prezzati” sul percorso terapeutico del malato anziché per confezione; oppure il risk sharing o ancora il payment by result (ti pago in base ai risultati clinici).
Dal lato industria, invece, si potrebbe assistere nei prossimi anni a nuove strategie commerciali delle aziende, magari importate da altri paesi: «Per qualche produttore» ha ipotizzato Ridella «potrebbe diventare conveniente un domani far registrare il proprio prodotto specialistico in fascia C fin dalla prima uscita; saranno poi i risultati derivanti dall’impiego e le pressioni dei medici ad agevolare in seconda battuta il passaggio nell’area della rimborsabilità. Lo stanno già facendo in Sud America, potrebbe presto accadere anche in Europa».
Nonostante il farmaco ospedaliero rimarrà ancora a lungo la locomotiva del comparto, i sistemi sanitari avranno però la necessità di assicurarne la dispensazione sul territorio a quei pazienti – innanzitutto cronici – che è ormai più conveniente curare a casa anziché in ospedale. Ed è qui che la farmacia del territorio potrà giocare le sue carte: «Questi pazienti andranno seguiti, controllati e monitorati» conclude Ridella «quindi una farmacia che riuscirà a trasformarsi in un centro integrato di servizi per il governo del farmaco potrà trovare spazi importanti. Ma c’è anche da capire che peso potrà avere la riforma della remunerazione, e soprattutto sarà importante chiedersi che sarà delle farmacie più lontane: i piccoli presidi, paradossalmente, saranno quelli che potranno risultare più utili perché collocati nelle aree meno coperte dalle strutture specialistiche, ma sono anche quelli che potrebbero fare più fatica a organizzarsi in nuovi modelli».
Anche l’industria farmaceutica dovrà fare i suoi conti: il settore ha retto finora grazie alle esportazioni, ma ormai neanche quelle bastano più a compensare la contrazione del mercato italiano. «Abbiamo bisogno di un sistema-paese che torni a premiare l’innovazione» ha detto Daniel Lapeyre, vicepresidente di Farmindustria «per esempio dover attendere due anni prima che un farmaco completi l’iter autorizzativo e cominci a essere usato, quando all’estero non ce ne vuole più di uno, non aiuta». Eppure il comparto farmaceutico rimane l’area di maggiore competitività del Paese. Lo ha ricordato il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi: «Il 9% degli investimenti in ricerca e sviluppo fatti in Italia vengono da noi. Siamo tra i settori che più esportano, il 65% della nostra produzione va all’estero e negli ultimi tre anni le nostre esportazioni sono cresciute del 30%». Per quanto competitiva, l’industria del farmaco non trova però in questo Paese condizioni che le consentano di crescere: «I nostri prezzi sono sempre più bassi» ha ricordato Scaccabarozzi «fatto cento per l’Italia la media dei primi cinque paesi Ue è 115. La nostra spesa farmaceutica, poi, è inferiore del 26%». Colpa, anche, del cattivo uso dei risparmi assicurati dagli “off patent”. «Gli equivalenti sono una grande opportunità per reperire le risorse con cui sostenere l’innovazione» ha ricordato Enrique Hausermann, presidente di Assogenerici «ma tutto il comparto deve fare squadra perché i risparmi siano reinvestiti dalle Regioni nel farmaco, anziché usati per coprire altre voci di spesa»