A scuola è capitato a tutti di copiare dal secchione del banco accanto. E tutti noi, quando c’era da studiare o fare ricerche di gruppo, cercavamo di metterci con i più bravi per rubare qualcosa del loro metodo. Ancora non lo sapevamo, ma stavamo soltanto facendo benchmarking. Il primo a codificare tale pratica fu Robert Camp, nel 1976: il benchmarking, spiegò, è «uno strumento di misurazione di prodotti, servizi, e processi aziendali attraverso il confronto con i concorrenti più forti». Di fatto si trattava di una pratica che molte aziende già applicavano: l’americana Xerox, per esempio, acquistò alcuni esemplari di fotocopiatrice della concorrente Canon e li smontò pezzo per pezzo, per capire come mai i loro prezzi erano più bassi dei suoi. La stessa pratica (chiamata reverse product engineering) viene attuata abitualmente anche oggi da tutte le aziende automobilistiche: ogni volta che sul mercato spunta una nuova vettura, le aziende concorrenti acquistano qualche esemplare e lo passano al microscopio, per confrontarlo con i propri modelli.
Sia chiaro, il benchmarking non è mera imitazione. Si basa sul principio che se altri fanno bene una cosa, possiamo farlo anche noi e magari migliorarla. In altri termini, è la ricerca di best practices da adattare alla realtà in cui operiamo. Si può fare benchmarking organizzativo, di processo, di costo e di servizio/prodotto. Ed è possibile farlo guardando ad altre farmacie ma anche ad altri format e canali: si cerca il primo della classe e si analizza perché è più bravo. Come? Un espediente sempre fruttuoso è quello di inviare un “mistery shopper”, che raccolga con pazienza e costanza (in più passaggi) informazioni di tipo hard – come prezzi, servizi offerti, prodotti trattati – e di tipo soft, come approccio del personale, accoglienza dei locali eccetera.
La parte più difficile del gioco, però, è quella di metabolizzare le osservazioni in un piano di riorganizzazione che adegui la farmacia al benchmark di riferimento. Per farlo occorre abbandonare quella gestione approssimativa e non sistemica che è tipica di questo canale, dove prevalgono conduzioni familiari e un management povero di competenze. Mi piace dire che il farmacista dovrebbe essere un giardiniere, che deve seminare, curare e far crescere, potando però i rami secchi. Un giardiniere paziente e assiduo, perché come diceva Benjamin Disraeli «Il segreto del successo è la perseveranza verso lo scopo».