Hub and spoke, la rivoluzione che preoccupa gli inglesi

Hub and spoke, la rivoluzione che preoccupa gli inglesi

La notizia arriva dalla Gran Bretagna e riguarda le farmacie inglesi, ma i titolari italiani troveranno di che riflettere e ragionare sulla cose di casa propria. In un recente intervento, il ministro della Salute britannico, Alistair Burt, ha proposto che anche alle farmacie indipendenti sia consentito di strutturarsi secondo la formula “hub and spoke”, che in inglese significa mozzo e raggi (della ruota). Il termine indica un network di farmacie in cui stoccaggio e confezionamento dei medicinali è demandato in massima parte a una struttura logistica centrale (l’hub, per l’appunto), che rifornisce in tempo reale i punti vendita (spoke) sulla base della programmazione, degli ordini e delle prescrizioni spedite dai farmacisti.


Il sistema, ovviamente, è focalizzato sul cosiddetto paziente cronico, che va avanti a ricette ripetibili e forniture settimanali o mensili. Una tipologia di “malato” non proprio rara nel Regno Unito (come altrove): secondo Keith Ridge, capo del Servizio farmaceutico pubblico inglese, stiamo parlando di circa i due terzi delle ricette emesse in un anno dai medici inglesi. Attualmente però la legge prevede paletti piuttosto rigidi per gli “hub and spoke” farmaceutici: sono consentiti solo se centrale logistica e farmacie collegate appartengono alla stessa proprietà, cosa che spiega perché finora il modello sia stato messo in pratica soltanto dalle catene, quelle che in Inghilterra si chiamano “multiple”. Le esperienze maturate, tuttavia, hanno dimostrato che i risparmi assicurati da tale organizzazione sono cospicui: Maybwerry Pharmacy, una piccola insegna di una decina di farmacie concentrate nel Galles del Sud, ha realizzato con l’hub and spoke economie (su logistica e personale) per più di 200mila sterline all’anno, quasi 300mila euro.


Di qui la proposta del ministro Burt, che mira ad aprire alle farmacie indipendenti i vantaggi finora offerti dal modello alle sole “multiple”. L’idea, pare, sarebbe quella di rompere la contiguità societaria tra hub e spoke: centrale logistica e farmacie, in sostanza, non devono più appartenere alla stessa proprietà. Le piccole farmacie potrebbero così mettere in piedi il modello senza affrontare costi insostenibili e, sempre secondo Ridge, il personale al banco riuscirebbe a dedicare maggiore tempo ai pazienti. Non tutti però condividono: Pharmacy Voice, l’ente cui fanno capo le tre principali associazioni di rappresentanza delle farmacie inglesi, ha espresso forti perplessità: il rischio, dice, è quello di innescare inconsapevolmente una «Amazonizzazione» del servizio farmaceutico, con gli hub che nel giro di pochi anni finirebbero per dispensare direttamente a dimicilio scavalcando gli spoke, ossia le farmacie del territorio.


E in Italia? A parte il richiamo ad Amazon (che spaventa un po’ pure da queste parti), il modello “hub and spoke” non sembra importabile, almeno sulla carta. In Gran Bretagna la dispensazione dei farmaci per terapie croniche è complicata dal confezionamento personalizzato (i cilindretti di plastica colorata, con etichetta adesiva e pillole di generico, che si vedono nei film anglosassoni), il cui allestimento toglie in effetti molto tempo all’attività al banco. Però attenzione: anche in Italia come nel Regno Unito è in corso da anni una profonda riflessione sui costi del sistema distributivo del farmaco e sui risparmi realizzabili attraverso nuove formule logistiche. Sono interessate al tema le stesse istituzioni sanitarie, perché costi ridotti significano ricarichi e margini inferiori sul prezzo finale e quindi contenimento della spesa farmaceutica pubblica: se il ministro Burt propone di aprire l’hub and spoke alle farmacie indiopendenti non è soltanto per sensibilità verso i piccoli presidi, c’è anche un interesse diretto.


In Italia poi la prossima apertura al capitale della titolarità sta spingendo le aziende e le cooperative della distribuzione verso riorganizzazioni che non si possono definire di tipo hub and spoke, ma per certi versi richiamano il modello. Si possono citare i due casi di Cef e Unifarm, che alle farmacie associate si preparano a proporre servizi logistici diretti a ridurre al minimo i magazzini dei titolari: tutti i prodotti “altorotanti”, così come quelli i cui consumi possono essere facilmente pianificati (terapie croniche, per l’appunto), verranno forniti dal distributore in tempo reale, in base alle necessità giornaliere programmate dalla farmacia. Il titolare riduce i costi di gestione e il grossista accresce la fedeltà del retailer, che viene “ingabbiato” nella routinarietà degli ordini.


E’ evidente che si tratta di “sprazzi” di hub and spoke. E se dalle cooperative ci si può aspettare vicinanza con i destini della farmacia indipendente, ben altre considerazioni potranno fare le catene delle multinazionali prossime venture. Che dall’importazione in suolo italico del modello potrebbero ricavare risparmi comunque apprezzabili, da riversare magari al Ssn (e alle Regioni) in cambio di servizi o convenzioni varie. Per non parlare di quella “amazonizzazione” paventata anche dalle farmacie britanniche: con il recapito a domicilio dei farmaci per le terapie croniche, l’hub and spoke rivoluzionerebbe dalle fondamenta il sistema distributivo del farmaco.

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