Sono stati presentati i risultati dell’edizione 2018 del Philips Future Health Index (FHI), uno studio internazionale condotto su 16 Paesi nel mondo tra i quali l’Italia, con tre obiettivi: misurare e confrontare il valore generato in ambito sanitario in ciascun Paese preso in esame; riflettere sul gap dell’Italia rispetto ai dati globali ed europei per l’attuazione di una strategia efficace di value-based healthcare; verificare lo stato della Connected Care all’interno del sistema sanitario.
Accesso, soddisfazione e connected care
Lo studio in Italia ha coinvolto 1.500 cittadini e 200 professionisti sanitari dai quali sono state raccolte percezioni ed esperienze su accesso alla sanità, soddisfazione per i servizi erogati ed efficienza complessiva del sistema sanitario. Inoltre, per valutare il livello di adozione della Connected Care le interviste si sono focalizzate sulle modalità di raccolta e analisi dei dati clinici e di erogazione dei servizi di cura con un focus sugli investimenti in telemedicina.
Il Value Measure, è un indicatore che nasce con l’obiettivo di misurare l’effettiva capacità di un sistema di generare valore sulla base di tre fattori chiave: accesso, soddisfazione ed efficienza. L’Italia, con un punteggio di 41,78, è in linea con la media globale (43,48) in termini di Value Measure (a eccellere è Singapore con un punteggio di 54,61), ma è fanalino di coda in Europa con un punteggio inferiore alla media (47,77). Nel confronto con i 16 Paesi dello studio, l’accesso alla sanità risulta essere leggermente superiore rispetto alla media grazie al minor peso dei costi per interventi chirurgici che gravano sui pazienti (1% rispetto alla media del 16%). Tuttavia, il punteggio dell’Italia è frenato da una densità inferiore alla media di professionisti sanitari qualificati (97 per 10.000 abitanti rispetto a una media di 109) e di letti ospedalieri (34 per 10.000 abitanti vs 38 medi).
Il punteggio di soddisfazione dell’Italia verso i servizi erogati è sostanzialmente sotto la media dei 16 Paesi registrando un punteggio di 44,97 contro 52,85 degli altri Paesi. Si evidenzia però una differenza sostanziale tra popolazione generale e professionisti sanitari: per i primi il dato scende inesorabilmente fino al 39,13, evidenza supportata dal fatto che solo un italiano su 3 sente i propri bisogni soddisfatti. Più ottimisti, seppur sotto la media, i professionisti sanitari con uno score del 50,82. Quindi complessivamente il paziente italiano è consapevole di vivere in un Paese dove il servizio sanitario è una ricchezza, ma lamenta difficoltà ad accedere ai servizi offerti a causa, in primis, della disparità di trattamento tra le varie regioni e delle lunghe liste d’attesa.
Se la value-based healthcare rappresenta un nuovo approccio strategico al miglioramento dei sistemi sanitari, per poter funzionare deve essere quantificato: per questo è fondamentale avvalersi di modelli informatici capaci di monitorare sistematicamente costi e risultati. La Connected Care lavora in questo senso e rappresenta oggi più che mai la soluzione più sostenibile ed efficiente per permettere ai diversi attori del sistema sanitario di essere sempre connessi e condividere le informazioni.
La raccolta dei dati clinici è già avviata nel nostro Paese grazie all’introduzione della Cartella Clinica Elettronica (CCE). Tuttavia l’Italia risulta sotto la media globale per gli investimenti sullo sviluppo della CCE e sui dispositivi wearable per la salute con un punteggio di 22,97, oltre 5 punti sotto la media.
Infine, per quanto riguarda l’erogazione dei servizi di cura, l’Italia è decisamente sotto la media con un dato complessivo che si attesta sui 14,69 a fronte del 22,41 della media dei 16 paesi. Un punteggio penalizzante, frenato da investimenti ancora troppo bassi in telemedicina e nella diagnostica per immagini. Nonostante l’Italia abbia un tasso di adozione pro capite superiore alla media di applicazioni pay-to-use per il monitoraggio remoto dei pazienti (0,0028 vs 0,0023 pro capite), lo stato attuale dell’assistenza sanitaria è potenzialmente limitato dalla mancanza di unità e di personale dedicati alla telemedicina in ambito ospedaliero, ambulatoriale e domiciliare.