Il capitolo «La società italiana al 2018» del 52° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese fotografa un Paese in cui la ripresa si è fermata, c’è minore potere di acquisto e si guarda al futuro con paura e incertezza.
Scenario economico in sintesi
Solo il 23% degli italiani ritiene di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori. E il 67% ora guarda il futuro con paura o incertezza. Il potere d’acquisto delle famiglie ancora giù del 6,3% rispetto al 2008. Emergenza lavoro: scompaiono i giovani laureati occupati (nel 2007 erano 249 ogni 100 lavoratori anziani, oggi sono appena 143).
Salari e occupazione, una situazione negativa
Tra il 2000 e il 2017 nel nostro Paese il salario medio annuo è aumentato solo dell’1,4% in termini reali. La differenza è pari a poco più di 400 euro annui, 32 euro in più se considerati su 13 mensilità.
Se nel 2000 il salario medio italiano rappresentava l’83% di quello tedesco, nel 2017 è sceso al 74% e la forbice si è allargata di 9 punti. Tra il 2007 e il 2017 gli occupati con età compresa tra 25 e 34 anni si sono ridotti del 27,3%, cioè oltre un milione e mezzo di giovani lavoratori in meno. Nello stesso tempo gli occupati di 55-64 anni sono aumentati del 72,8%. In dieci anni siamo passati da un rapporto di 236 giovani occupati ogni 100 anziani a 99. Mentre nel segmento più istruito i 249 giovani laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani del 2007 sono diventati appena 143. A rendere ancora più critica la situazione è la presenza di giovani in condizione di sottoccupazione, che nel 2017 ha caratterizzato il lavoro di 237.000 persone di 15-34 anni: un valore raddoppiato nell’arco di soli sei anni. Così come è aumentato sensibilmente il numero di giovani costretti a lavorare part time pur non avendolo scelto: 650.000 nel 2017, ovvero 150.000 in più rispetto al 2011.
La celebrazione digitale dell’io
Oggi il 78,4% degli italiani utilizza internet, il 73,8% gli smartphone con connessioni mobili e il 72,5% i social network. Nel caso dei giovani (14-29 anni) le percentuali salgono rispettivamente al 90,2%, all’86,3% e all’85,1%. I consumi complessivi delle famiglie non sono ancora tornati ai livelli pre-crisi (-2,7% in termini reali nel 2017 rispetto al 2007), ma la spesa per i telefoni è più che triplicata nel decennio (+221,6%): nell’ultimo anno si sono spesi 23,7 miliardi di euro per cellulari, servizi di telefonia e traffico dati. E abbiamo finito per sacrificare ogni mito, divo ed eroe sull’altare del soggettivismo, potenziato nei nostri anni dalla celebrazione digitale dell’io. Nell’era biomediatica, in cui uno vale un divo, siamo tutti divi. O nessuno, in realtà, lo è più. La metà della popolazione (il 49,5%) è convinta che oggi chiunque possa diventare famoso (il dato sale al 53,3% tra i giovani di 18-34 anni). Un terzo (il 30,2%) ritiene che la popolarità sui social network sia un ingrediente «fondamentale» per poter essere una celebrità, come se si trattasse di talento o di competenze acquisite con lo studio (il dato sale al 41,6% tra i giovani). Ma, allo stesso tempo, un quarto degli italiani (il 24,6%) afferma che oggi i divi semplicemente non esistono più. E comunque appena uno su 10 dichiara di ispirarsi ad essi come miti da prendere a modello nella propria vita (il 9,9%). In più, il 41,8% crede di poter trovare su internet le risposte a tutte le domande (il 52,3% tra i giovani).
Cresce la forbice sociale e territoriale
La forbice nei consumi tra i diversi gruppi sociali si è visibilmente allargata. Nel periodo 2014-2017 le famiglie operaie hanno registrato un -1,8% in termini reali della spesa per consumi, mentre quelle degli imprenditori un +6,6%. Fatta 100 la spesa media delle famiglie italiane, quelle operaie si posizionano oggi a 72 (erano a 76 nel 2014), quelle degli imprenditori a 123 (erano a 120 nel 2014).
A fine 2017 il Paese era ancora 4 punti sotto il valore del Pil del 2008, ma con regioni in pieno recupero (-1,3% la Lombardia e -1,5% l’Emilia Romagna) e altre in forte arretramento: -5,0% il Lazio, -6,2% il Piemonte, -7,9% la Campania, -10,3% la Sicilia, -10,7% la Liguria.
Fonte: Comunicato Stampa Censis – Roma, 7 dicembre 2018