La crisi continua a mordere come un mastino inferocito, ma i segni che lascia sui polpacci del commercio tradizionale sono molto più dolorosi di quelli patiti dalla farmacia. Chi ancora non ci crede (e tra i titolari sono in parecchi) può mettere a confronto i dati che nei giorni scorsi – per puro caso – hanno scattato a brevissima distanza una fotografia dettagliata delle condizioni di salute dei due comparti distributivi. Per il commercio tradizionale la fonte è Confesercenti, che ai primi di settembre ha pubblicato un rapporto sugli effetti della crisi nel settore: tra luglio e agosto, dicono i numeri dell’associazione, hanno chiuso circa 5.400 imprese del commercio al dettaglio a fronte di 2.600 nuove aperture. In sintesi, per ogni attività che apre i battenti altre due che lasciano il mercato. Il risultato è che continua ad accorciarsi la vita media delle imprese del commercio: una su quattro si “arrende” dopo meno di tre anni, oltre il 40% delle attività aperte nel 2010 – circa 27mila – è già sparito, bruciando investimenti pari a circa 2,7 miliardi di euro.«L’avvio del 2014 è stato peggiore di quanto ci aspettassimo» è il commento finale di Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti «anche la stagione dei saldi ha avuto risultati generalmente al di sotto delle aspettative, sebbene con grandi differenze territoriali. Il commercio è entrato nel suo terzo anno di crisi e molte imprese semplicemente non ce la fanno più, schiacciate dalla diminuzione dei consumi delle famiglie e l’aumento della pressione fiscale».
Per la farmacia, invece, dati “freschi di stampa” arrivano da un incontro organizzato questa settimana da Federfarma per aggiornare i commercialisti sulle novità provenienti dalla Legge delega per la riforma del Fisco e i nuovi studi di settore. Secondo i dati della Sose (la società che collabora con il ministero delle Finanzie alla redazione degli studi stessi), le farmacie che mostrano il fiato corto nei fondamentali economic-finanziari sono poco più di 4mila in tutto il paese, quelle sull’orlo del default poco meno di 250. Già queste cifre dovrebbero dimostrare – al di là di ogni irragionevole pessimismo, piuttosto diffuso tra i titolari – che nonostante la crisi la farmacia sta riuscendo a tenere il mare con una certa disinvoltura. Se poi servissero ulteriori dati, si potrebbero andare a prendere quelli presentati qualche mese fa in una riunione della farmadistribuzione intermedia riguardanti concordati e fallimenti registrati nel canale nel 2013: sono in tutto 127 le farmacie che hanno portato i libri in tribunale, 19 quelle che hanno dichiarato fallimento e 22 gli esercizi che invece sono riusciti ad accedere al concordato preventivo (vedi tabella).
Il commercio tradizionale firmerebbe per numeri così.
Crisi, in farmacia morde meno che nel commercio
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