In questi mesi non facciamo che scrivere di crisi e cambiamento. Abbiamo spesso ripetuto che è necessario cercare una nuova efficienza in farmacia e invitato i titolari a una maggiore managerialità. Ci siamo sforzati di individuare i punti di forza da valorizzare e le debolezze da superare, per aiutare il farmacista a reagire al mutamento. Ma è anche giusto dire che la farmacia non ha colpe per la congiuntura con cui oggi deve fare i conti. Sta soltanto affrontando quella che l’economista Erika Mallarini ha chiamato una “tempesta perfetta”: l’effetto convergente di mutamenti istituzionali, evoluzioni del mercato e innovazioni tecnologiche. In sintesi: la popolazione invecchia, la genericazione ha tagliato i prezzi di molti blockbuster, la copertura della Sanità pubblica è in ritirata, nuovi competitor si sono affacciati sul mercato spingendo all’ipercompetizione, la tecnologia sta progressivamente cambiando il nostro modo di curarci. Come scrive Jeffrey Gitome, «cambiamento non è una parolaccia, ma spesso la nostra reazione lo è», perché cambiare è difficile.
Non dobbiamo dimenticare che con l’entrata nell’euro abbiamo intrapreso un cammino irto di difficoltà. Non è solo un problema di moneta unica, ma anche di un sistema-paese che non funziona più senza innovazione e investimenti: la Prima guerra mondiale è costata all’Italia quattro anni di sofferenze, la Seconda cinque, la crisi post-euro si trascina da oltre 12 anni e per ora di tregue all’orizzonte non c’è neanche l’ombra. Sommati gli anni che vanno dal 1999 a oggi, rivela una ricerca pubblicata pochi giorni fa dall’Economist, il nostro Pil procapite è l’unico tra i principali Paesi avanzati che mostra il segno negativo. Nel 2000 il nostro Pil pro capite era superiore del 17% alla media europea, dieci anni dopo sta sotto dell’1,6%. Nel 2012 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto il 35,3%, i livelli del 1977. Il nostro sistema industriale è formato da una miriade di piccole aziende che senza un mercato di prossimità rischiano di scomparire. Il crollo della domanda interna, gli alti costi dell’energia, i costi legati all’inefficienza della burocrazia e ai costi dei trasporti rendono il nostro paese scarsamente competitivo. Viviamo in un periodo di recessione e austerity, le banche hanno impartito un giro di vite al credito e le imprese ne risentono.
La farmacia non poteva restare immune alla crisi. Anche se ha goduto di qualche vantaggio derivante dalla sua specificità: la stagnazione dei consumi, per esempio, nel mercato della salute è mitigata dall’anticiclicità della domanda. L’automotive (il comparto auto-moto) ha chiuso il 2013 con un calo del 7,1% nelle unità vendute, la nautica sta in una forbice tra il -4 e il -8%, il mercato immobiliare deve fare i conti un -9,2% nelle compravendite residenziali. Secondo l’Istat, dal 2008 al 2013 l’Italia ha perso un quarto della produzione industriale e sono spariti 2 milioni di posti di lavoro. Il mercato della farmacia, invece, ha chiuso il 2013 con un incremento dell’1,3% sull’anno precedente. Merito delle specificità del canale ma anche dei farmacisti, che sono stati bravi a “tenere” quando tutti gli altri hanno fatto un passo indietro. Chi ha saputo reagire alla crisi mettendo in campo le proprie doti manageriali, è colui che ai primi segnali di ripresa riuscirà a ripartire meglio e con più vigore.