«Concentrazioni e fusioni sono il futuro obbligato delle società dei farmacisti: l’invito che rivolgiamo alle altre cooperative è di seguire la nostra stessa strada». Messaggio forte quello che arriva da Francesco Giglioni, presidente di Cofapi, il gruppo toscano della distribuzione intermedia confluito per incorporamento, la settimana scorsa, nella bresciana Cef. Anche perché arriva dal massimo dirigente di una società che ha chiuso il 2013 in attivo e non ha le spalle gravate da ponderosi indebitamenti. Il caso Cef-Cofapi, in sostanza, non si colloca né tra i “salvataggi” né tra quei blitz che vedono un grande gruppo prendersi a prezzi di saldo un’azienda decotta. Le logiche, qui, sono altre e affondano le radici nella realtà del mercato farmaceutico e distributivo: «Il fatto» riprende Giglioni «è che siamo da sempre una cooperativa sana ed efficiente, ma ci eravamo ormai resi conto che con le nostre dimensioni non avremmo avuto futuro.
Cef è il partner giusto, le faremo da trampolino per allargare la presenza del gruppo in Toscana e nel centro Italia».
Stesse considerazioni da Vittorino Losio, presidente della Cef e vicepresidente di Federfarma Servizi: «Le concentrazioni consentono economie di scala e accrescono la massa critica, sono l’unica risposta all’erosione dei margini. E poi, va contrastato il calo della quota di mercato posseduta dalle cooperative: i farmacisti devono mantenere una presenza credibile nella distribuzione intermedia del farmaco, altrimenti il comparto cade in mano alle multinazionali. La mia stima è che se vogliamo conservare tale posizione, dovremo arrivare a un futuro fatto di una o due cooperative di dimensioni nazionali, con una quota di mercato pari in totale al 15-20%». Perché questo scenario si concretizzi, tuttavia, è necessario anche l’impegno dei titolari di farmacia: «I farmacisti devono capire che quando non ordinano attraverso le loro cooperative fanno l’interesse delle multinazionali» conclude Losio.
L’impressione, dunque, è che le società di farmacisti siano a un punto di svolta: se il comparto non cresce con fusioni e concentrazioni, il futuro si farà sempre più incerto. «Le cooperative soffrono di una patrimonializzazione non consolidata che si traduce a seconda dei casi in una scarsa liquidità o in un elevato indebitamento» è la riflessione di Roberto Pennacchio, tesoriere di Federfarma Servizi «ma il fenomeno ha cause complesse. Si può dire che se la farmacia è debole allora anche la cooperativa è debole, se la cooperativa è forte anche la farmacia è forte». Per questo le società di servizi si ritengono un tassello imprescindibile del sistema: «Calmieriamo i prezzo della distribuzione e teniamo alta la competizione sugli sconti» prosegue Pennacchio «e non è poca cosa in questo momento in cui si contano circa tremila farmacie in difficoltà economiche e circa 600 a rischio di default». Di qui, dunque, l’appello a Federfarma – il sindacato dei titolari – perché si mantenga unito il fronte farmacie-cooperative: «Abbiamo fatto sacrifici importanti in passato» ricorda Pennacchio «per esempio quando i margini della distribuzione vennero tagliati di tre punti. Ora c’è da lavorare tutti insieme per evitare che le cooperative lascino intere aree del territorio impresidiate». E in regioni come la Sicilia o la Puglia il rischio è sempre più forte.