Catene, dalla Svezia case history su cui riflettere

Catene, dalla Svezia case history su cui riflettere

In Gran Bretagna le catene ci avranno anche messo 160 anni a diventare ciò che sono oggi, come è solita ripetere (con intenti sedativi) Ornella Barra, executive vicepresident di Walgreens Boots Alliance. Ma in Svezia, dove la proprietà delle farmacie è stata liberalizzata nel 2009, ci hanno messo molto, molto meno. E ciò che nel quinquennio successivo è accaduto nel Paese scandinavo, tra nuove aperture, acquisizioni e integrazioni, merita di essere riletto perché aiuta a farsi un’idea di quanto potrebbe accadere da noi una volta che il ddl concorrenza e l’apertura al capitale diventasse legge.


Nel 2009 il “liberi tutti”
Dal 1970 e fino al 2009 la Svezia apparteneva a quel gruppo ristrettissimo di Paesi nei quali la proprietà delle farmacie è monopolio pubblico: la vendita del farmaco era del tutto preclusa ai privati, le farmacie appartenevano allo Stato e i farmacisti che lavoravano al loro interno erano dipendenti pubblici. Nel 2006 gli svedesi elessero un governo di centrodestra che aveva fatto della liberalizzazione delle farmacie uno dei primi punti del proprio programma, con l’obiettivo di accrescere la concorrenza nel settore e incrementare il numero dei punti vendita presenti sul territorio: all’epoca, infatti, in Svezia si contavano soltanto 945 farmacie (da cui un rapporto abitanti per punto vendita tra i più alti in Europa) tutte riunite sotto l’insegna statale Apoteket AB.
Nel 2009 l’impegno venne mantenuto e dall’anno successivo scattarono le privatizzazioni. Il governo mise in vendita 615 farmacie (le altre rimasero di proprietà pubblica, sempre sotto l’insegna Apoteket AB) in tre tranche distinte, una delle quali – in tutto 150 punti vendita circa – venne riservata ai farmacisti indipendenti (per evitare che i grandi gruppi si accaparrassero l’intero pacchetto). Venne inoltre liberalizzata l’apertura di nuovi esercizi, tanto che nel 2014 il totale delle farmacie in attività nel Paese si aggirava attorno ai 1.350 punti vendita, per un aumento rispetto al 2009 di circa il 40%.


E fu subito catena
Nonostante le cautele governative, la privatizzazione aprì subito il campo alle catene di farmacie, che immediatamente si preoccuparono di posizionarsi e caratterizzarsi attraverso brand, insegne, loghi e offerta.
Apoteket AB. La compagnia pubblica approfittò dei suoi legami con l’amministrazione statale per prepararsi con largo anticipo (fin dal 2008) alla privatizzazione e al nuovo scenario. Dalla sua logoswe1aveva poi il fatto che la parola Apoteket (farmacia, in svedese) era ed è tutt’oggi marchio registrato, tant’è vero che tutti i concorrenti hanno dovuto ripiegare sul sostantivo abbreviato Apotek. In vista della privatizzazione la catena ha rinnovato il proprio logo, ha lanciato una linea di farmaci a marchio e si è affidata alle agenzie di comunicazione per rinfrescare il proprio brand.
logoswe2Apotek Hjärtat. In svedese significa la “farmacia del cuore”. Venne lanciata da un fondo di investimento (private equity) grazie all’acquisizione di 208 delle oltre 600 farmacie messe in vendita dallo Stato. Il logo con il cuore aperto mira a trasmettere un messaggio di accoglienza, apertura e servizio.
logoswe3Kronans Droghandel.  Le farmacie della corona. Il logo appartiene a un distributore farmaceutico svedese in attività dal 1907 e in tempi più recenti acquistato dalla multinazionale finnica Oriola. Quando partì la privatizzazione, il gruppo acquistò 171 farmacie e le organizzò in una catena dal lay out caratteristico: i colori del logo ricompaiono nell’allestimento dei punti vendita, anche per enfatizzare le radici storiche del brand. Nel 2013 la catena impiegava 1.300 persone e vantava una quota di mercato del 14%.
logoswe4Medstop. Lanciata pure questa da un fondo di investimento, raggruppava una sessantina di farmacie ex statali. Qualche anno dopo il lancio, nel brand venne aggiunta la parola Apotek.
Vårdapoteket. Varata da due società di investimenti finanziari, la catena contava all’avvio 24 farmacie soltanto, ubicate tutte in prossimità di ospedali.
Åhléns Apotek. Istituita da un gruppo della gdo svedese, era costituita da farmacie di nuova apertura (nessun acquisto dallo Stato) ma sopravvisse poco più di un anno e i suoi esercizi vennero chiusi o venduti ad Apotek Hjärtat.
Apotek1. Altra insegna dalla vita brevissima. Aperta da una catena norvegese, costituita da farmacie di nuova apertura, venne ceduta dopo pochi mesi sempre ad Apotek Hjärtat.
logoswe7DocMorris Apotek. Appartenente al gruppo tedesco Celesio (oggi controllato dall’americana McKesson), la catena ha messo radici in Svezia dal febbraio 2010 e conta attualmente più di 70 farmacie. Dal 2013 il gruppo ha cambiato insegna in Lloyds Apotek, dal nome della catena inglese acquisita nello stesso anno. Lo stesso avvicendamento si è verificato in Italia con le comunali del gruppo Admenta, anch’esso facente capo a Celesio.
logoswe8Cura apoteket. Catena appartenente al gruppo svedese Ica, leader nel mass market. La maggior parte delle farmacie sono collocate in prossimità di uno dei suoi store.


L’evoluzione: cresce l’integrazione verticale
Superata la fase iniziale, oggi in Svezia il comparto vede un progressivo consolidamento delle catene e, soprattutto, un mutamento degli assetti proprietari. Fondi di investimento e società fnanziarie, che si erano “buttate” nella privatizzazione con l’obiettivo di ricavare velocemente utili, stanno lasciando progressivamente il mercato a vantaggio di quei gruppi che invece nella vendita del farmaco hanno interessi di lungo periodo. Cioè, in sintesi, i farmadistributori o la gdo. Un paio di anni fa, i finnici della Oriola hanno acquistato la catena Medstop (578 dipendenti e una quota di mercato del 7,5%) per circa 17,5 milioni di euro. Grazie all’operazione, le farmacie che innalzano l’insegna Kronans Droghandel sono salite a 290 e la quota di mercato del gruppo al 21% (1.900 i dipendenti).
Altra operazione dello stesso tenore è stata condotta da Ica, che nell’autunno dell’anno scorso ha acquisito la catena Apotek Hjärtat per circa 770 milioni di dollari. Grazie all’operazione il gruppo (che già possedeva Cura apoteket) diventa il secondo operatore nazionale per giro d’affari nel mercato della farmacia, con una quota del 30%.


La morale: prima la finanza, poi i grandi gruppi
La parabola percorsa dalla liberalizzazione svedese merita senz’altro una riflessione per i paralleli che offre lo scenario italiano. Soprattutto, invita a una riflessione il protagonismo recitato da finanza e fondi di investimento nella fase più “giovane” della privatizzazione svedese. Le società di private equity sono quelle che hanno capitale fresco fresco da investire e cercano utili veloci e a breve termine: hanno comprato, hanno fatto lievitare il valore di farmacie e catene e quindi hanno venduto velocemente per realizzare. E ovviamente a comprare sono stati quei gruppi – della farmadistribuzione o della gdo – che invece nel mercato della farmacia vogliono restare a lungo e crescere, acquisendo quote di mercato.
E’ uno scenario che si potrebbe ripetere anche nel nostro Paese, soprattutto se si tiene conto della patrimonializzazione che oggi contraddistingue la farmacia italiana: una buona fetta di titolari è fortemente indebitata e i fondi di investimento – compresi quelli che fanno capo a banche e istituti di credito – non farebbero fatica a comprare. E poi rivendere tra qualche anno a prezzi decisamente maggiori. In fondo, la Svezia non è poi così lontana.

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