L’apertura della titolarità al capitale non solletica soltanto l’appetito di banche e distributori intermedi (nazionali o internazionali che siano), ma anche quello della Sanità privata. Lo ha detto Erika Mallarini, docente della Sda Bocconi e direttore scientifico dell’Osservatorio consumi privati in sanità (Ocps), nel suo intervento al convegno sul ddl concorrenza organizzato sabato nella cornice di Farmacistapiù, la convention patrocinata da Fofi e targata Edra Lswr (FieraMilanocity, 8-10 maggio scorso). Alla platea Mallarini ha proposto i passaggi principali della ricerca condotta dalla Bocconi per valutare gli effetti che avrà il disegno di legge una volta approvato dalle Camere. Basato su analisi di scenario, confronti dalla letteratura di riferimento e un’ottantina di interviste ai principali “player” del mercato e delle istituzioni, lo studio lascia capire che l’apertura al capitale potrebbe regalare alle farmacie più opportunità che svantaggi. Pharmaretail ha voluto approfondire con la docente della Bocconi le principali evidenze della ricerca.
Professoressa, dal vostro studio sembrano emergere previsioni ottimistiche: il ddl concorrenza potrebbe fare più bene che male alle farmacie…
Sulla carta è così. Ovviamente si dovrà poi vedere quali comportamenti e tendenze si consolideranno. Diciamo che il ddl potrebbe essere un acceleratore di processi che potrebbero avere effetti significativi sul sistema farmacia.
Per esempio?
Aumenterà il valore patrimoniale delle farmacie, soprattutto nelle aree più appetibili; si registrerà un forte sviluppo dei servizi, commerciali così come professionali, ossia votati alla pharmaceutical care; cresceranno le vendite di generici e il ricorso al parallel trade; sarà più facile che gli innovativi entrino finalmente in farmacia, perché lo sviluppo di reti e insegne agevolerà la standardizzazione delle pratiche distributive; cambieranno i rapporti tra produzione e distribuzione del farmaco; si razionalizzeranno gli assortimenti e soprattutto si ridurranno, dato che oggi la farmacia italiana ha l’offerta più ampia di tutta Europa.
Apertura al capitale, catene… Chi sono i “competitors” dai quali i titolari dovranno guardarsi per primi?
Le banche sono un “player” che potrebbe entrare nel mercato della farmacia ma soltanto in tempi non brevi. Hanno in pancia un buon numero di farmacie indebitate i cui crediti sono ormai inesigibili, ma per gestirle dovrebbero prima attrezzarsi e poi si troverebbero a operare in un contesto di cui non hanno esperienza. Più facile invece che siano i distributori i primi a farsi avanti: pure loro hanno in mano un buon numero di farmacie indebitate e al contrario delle banche giocherebbero in casa. E quando parlo di distributori non mi riferisco solo ad Alliance Boots, parlo anche di operatori nazionali e di cooperative.
E la gdo?
Al momento non la vedo come un potenziale player. Il mercato della farmacia è per il 70% etico, la gdo non lo sa trattare. Lo scenario potrebbe cambiare nel caso in cui un gigante come Walmart entrasse nel mercato italiano: negli Usa e nel Regno Unito i loro centri commerciali sono forniti di farmacie, la crisi di alcune insegne italiane della grande distribuzione potrebbe essere la breccia che farà entrare Walmart nel nostro Paese.
E poi, come ha detto a Farmacistapiù, c’è la sanità privata…
E’ un mondo in crescita, non dimentichiamo il successo che da diversi anni sta avendo la cosiddetta sanità low-cost: ambulatori odontoiatrici, laboratori, poliambulatori sociosanitari… E’ un mercato che si sta progressivamente “retailizzando” e soprattutto si sta organizzando in network ben diffusi sul territorio. Per questi operatori, acquisire farmacie da affiancare alle loro strutture – replicando quello che il Ssn sta cercando di fare con Uccp e Case della Salute – è un’opportunità che suscita interesse.
I titolari come possono difendersi?
Facendo rete e mettendo da parte il loro atavico individualismo. In Italia il 20% delle farmacie già appartiene a una catena virtuale, ma è ora di capire che non basta fare acquisti assieme o condividere un volantino con qualche sconto per fare rete. Non è così, fare rete significa standardizzare: l’offerta, il servizio, la dispensazione e così via. Servono algoritmi e pratiche codificate, e dovrebbe essere chiaro a tutti che questa modalità di lavoro troverebbe subito il favore non solo del pagatore pubblico, ma anche dei pagatori privati – come assicurazioni e assistenze integrative – che stanno affacciandosi sul mercato. Un network che assicura modalità di erogazione identiche in tutte le sue farmacie dà affidabilità in termini di controllo della spesa e gestione del servizio.
Standardizzazione ma anche posizionamento…
Certamente, fare rete significa anche posizionarsi e specializzarsi. Guardate cosa fa Boots in Inghilterra, dove ha sviluppato addirittura quattro disntinti format: Boots travel, per le farmacie collocate in prossimità di aeroporti e stazioni, con un’offerta rivolta proritariamente al viaggiatore; Boots community, per le farmacie di comunità, con un forte posizionamento sui servizi sociosanitari e sulla pharmaceutical care; Boots health&beauty, focalizzata sul benessere; Boots e-commerce, le farmacie on line. Questa è la direzione in cui occorre muoversi e velocemente, altrimenti si rischia di rimanere in terza corsia. Quella riservata ai veicoli lenti.