È da poco terminato il weekend di Farmaday 2013 e tornando a casa tutti rifletteranno su quanto ascoltato negli eventi del programma. Una delle constatazioni che dobbiamo fare è quanto i titolari di farmacia siano diventati nel tempo “divoratori di numeri”: chiedono incessantemente dati a gestionali e consulenti e gestionali e consulenti chiedono a loro volta al farmacista altri dati per fornirgli nuovi dati ancora, più aggregati o più scomposti, sugli acquisti, le vendite, il margine, i costi, l’utile. Ne nascono almeno un paio di riflessioni: la prima è se il titolare di farmacia sappia quali numeri “chiedere” a software e consulenti e quali fornire eventualmente, e della “bontà” degli stessi. Di quali informazioni necessita? Per monitorare cosa? Per quale motivo? A seguito di quali cause o decisioni? Per fare cosa? E leggerli poi? Considerare le variabili legate a un numero e collegare i numeri a una o più variabili: “Come?” – competenza e conoscenza – “Quando?” – tempo.
La seconda domanda è relativa a quanto in profondità sia necessario “entrare” nel numero. Numeri di carattere generale sono utili a comprendere l’andamento della gestione, controllare gli effetti delle decisioni prese come mutamenti dell’ambiente esterno. Più si scende nello specifico numero invece, e più ci avviciniamo alle persone, al loro lavoro, al loro contributo effettivo ai risultati aziendali. Misurare le performance delle persone è un “dovere” del titolare, così come organizzare il loro lavoro. Ma i “numeri” dei collaboratori non devono essere letti in maniera sterile e asciutta. I numeri sono vivi, devono essere interpretati in maniera sistemica, devono raccontare una storia ed aiutare a scriverne una per il futuro.
Spesso si riscontra nel titolare di farmacia il desiderio di uno stretto controllo spaziale e temporale sul lavoro dei collaboratori: minuti impiegati per un Cup, pezzi orari venduti per operatore, margine lordo per vendita eccetera. L’eccesso: presidiare in ogni minimo micro-comportamento quello che talvolta s’identifica come un processo produttivo anziché un servizio ad alto contenuto professionale, limitando fortemente la variabilità di comportamenti. Quindi mansionari per gli ordini ai fornitori e modalità e tempi di erogazione dei servizi, prodotti da spingere, abbinamenti commerciali.
Tutto utile, tutto legittimo, ma attenzione alla sindrome da iper-controllo delle variabili in gioco. Il Taylorismo non può trovare spazio in farmacia. Per vari motivi: – tipologia di lavoro; le teorie di Taylor avevano come oggetto un tipo di lavoro dequalificato, lavori ripetitivi, standardizzati. Erano sufficienti un po’ di principi generali e questi potevano essere applicati in ogni occasione; – tipologia di prodotto/settore: produzione e non servizi; – l’obiettivo era la riduzione dei costi più che la qualità e l’innovazione. “Indovinata” la formula giusta, la fabbricazione del prodotto poteva continuare senza grossi cambiamenti per anni; – tipologia di personale: la selezione e l’addestramento scientifico della manodopera rispondeva, nel pensiero di Taylor, allo scopo di eliminare una delle maggiori fonti di instabilità all’interno delle imprese: la discrezionalità, il libero arbitrio.
Insomma quali punti di contatto può avere con la farmacia un pensiero che afferma il primato assoluto dell’organizzazione dell’impresa su ogni componente umana che vi lavora? Come proporre a un professionista il postulato del “One Best Way”, ovvero che per ogni problema esiste sempre una ed una sola soluzione ottimale? Occorre organizzazione, occorre monitorare il lavoro delle persone – sarebbe opportuno anche un feedback costante e oggettivo – occorrono i numeri ma non per valutare in maniera esclusiva il lavoro di professionisti ai quali sono richieste altre caratteristiche: professionalità ed etica, conoscenze e competenze specifiche, cortesia e disponibilità, capacità comunicative e problem solving. Gli indici di produttività o resa oraria, o i minuti impiegati a compiere un Cup, non sono indicatori per la valutazione dei collaboratori di farmacia. Sposare le teorie tayloristiche in un ambiente ad elevata professionalità che si occupa di salute delle persone è pericoloso. È pericoloso per il “sistema”. Le persone, i collaboratori – e gli stessi titolari – si valutano si sui numeri, ma tenendo conto di principi e valori, in termini di professionalità e di capacità di cambiare atteggiamento quando necessario. Forse potrebbe tornare utile un “paradosso contabile”: dove sono appostati i collaboratori nel Bilancio d’esercizio della farmacia? Nelle passività dello Stato Patrimoniale (Tfr) e nei costi del Conto Economico (Costi del Personale: stipendi, ecc.). Debito e costo, ecco com’è rappresentato il collaboratore nei documenti contabili della Farmacia. Se la voce “Personale” fosse tra le attività dello Stato Patrimoniale (Attivo), assieme alle disponibilità liquide e ai crediti, alle attrezzature, ai fabbricati e all’avviamento, forse tutti gli imprenditori sarebbero costretti a guardare in maniera diversa questa risorsa; una parte del Patrimonio, una risorsa da valorizzare e sulla quale investire.
Quindi è necessario entrare nei numeri “piccoli”, navigare nel gestionale alla ricerca di stampe, indicatori ed indici, ma è tutto inutile se prima non sono stati fissati principi etici, individuati i fabbisogni formativi dei collaboratori, creato un clima lavorativo produttivo. Non si possono chiedere buoni risultati senza aver prima “seminato”; personale non aggiornato, non specializzato sull’omeopatia, la celiachia, la cosmesi, non può produrre risultati con segno “più”. Collaboratori demotivati, non interessati, collaboratori e titolari senza il “terzo occhio” non possono dare “quel qualcosa in più” necessario a migliorare le performance individuali e generali. Per non parlare degli incrementi di fatturato o di marginalità maturati da vendite non propriamente “professionali”: qual è il loro prezzo per la farmacia nel lungo periodo? Attenzione insomma a non cadere nella “trappola” dei numeri, alla sterilità di una loro lettura puntuale, a dare troppo peso agli indici di produttività e redditività nelle valutazioni e decisioni.