Se qualcuno ha voglia di spendere un po’ di euro per un corso Ecm che non dà crediti ma offre comunque ottimi insegnamenti, gli suggerisco di acquistare il dvd della prima stagione di “Lie to me”, un originale telefilm trasmesso da Rete4 qualche anno fa. Il protagonista, interpretato da Tim Roth, è un etologo-antropologo che smaschera bugiardi e impostori dal loro comportamento gestuale, da piccoli segnali trasmessi dal corpo o dalla mimica facciale: se incrociamo le braccia mentre parliamo, cerchiamo istintivamente riparo da chi ci sta di fronte; se mettiamo le mani in tasca, riveliamo disinteresse o supponenza; se evitiamo di incrociare lo sguardo dell’interlocutore, fastidio o insicurezza.
Ovviamente nelle storie dei singoli episodi c’è molto di romanzato, ma la base scientifica dalla quale gli autori hanno sviluppato il personaggio è solida. E insegna molto su quel linguaggio non verbale che spesso pesa parecchio nella comunicazione interpersonale. Le ricerche, per esempio, dicono che quando parliamo con uno sconosciuto, l’idea che ci facciamo di lui dipende per il 7% da ciò che dice, per il 38% da come lo dice (comunicazione paraverbale: tono di voce e gesti) e per il 55% da come appare (comunicazione non verbale: come è vestito, pettinato, accessori che indossa eccetera). Risultato, al primo approccio la percezione visiva pesa per il 93% sull’impressione dell’altro.
Per il farmacista al banco, masticare questi concetti aiuta due volte: per “leggere” in profondità il messaggio che il cliente gli sta rivolgendo e per “educare” il proprio comportamento e la propria apparenza. Certo, non dovremmo mai fidarci della prima impressione (come sosteneva già l’imperatore romano Marco Aurelio, «ogni cosa che sentiamo è un’opinione, ogni cosa che vediamo è una prospettiva»), ma non illudiamoci, l’opinione che gli altri si sono fatti di noi al primo impatto non verrà rivista velocemente: come diceva Oscar Wilde, «non avrai mai una seconda possibilità di fare una buona prima impressione».
E’ giusto, quindi, che il titolare di farmacia sia severo su abbigliamento e cura personale dei suoi collaboratori: il camice spiegazzato, sporco o liso, dalla taglia sbagliata, oppure indossato d’estate sopra una t-shirt che il bavero chiuso fa sembrare una canottiera, arreca danni pesanti alla fiducia e alla credibilità. Si giudicano i libri dalle copertine, un buon packaging fa spesso il successo di un prodotto a prescindere dalla sua qualità. Non lo si dimentichi mai: i clienti non comprano soltanto un prodotto o un servizio, comprano anche chi glieli vende. L’aspetto del personale fortifica il brand della farmacia.
L’abito ovviamente non basta. Conta, e tanto, anche l’approccio, il modo in cui il farmacista si presenta al cliente. E qui torniamo al telefilm: uno studio della psicologa sociale Amy Cuddy, della Harvard Business School, ha dimostrato che le persone giudicano gli altri su due parametri fondamentali, che determinano l’esito per l’80%: il calore (cioè l’affidabilità che suscitano) e la competenza. Salutare il cliente con sincerità e un sorriso, e magari una stretta di mano quando serve, fa molto. Se poi sono clienti abituali, chiamarli per nome dà risultati ancora maggiori: Napoleone era adorato dai suoi soldati perché quando passava in rivista le truppe si fermava sovente a scambiare due parole con i veterani che avevano già combattuto con lui; li chiamava spesso per nome ed elencava le campagne che avevano fatto, e i novellini delle file circostanti rimanevano impressionati. Tenete una postura eretta e sicura, ma non aggressiva. Guardate negli occhi il vostro interlocutore quando spiega e non anticipategli le parole, deve potersi sfogare. Fate in modo che abbia voglia di rivedervi, parlate correttamente facendo attenzione ai termini che scegliete, evitando scientismi inutilmente cattedratici. Siate naturali ed educati. E se volete esercitarvi, mettetevi davanti a uno specchio o fate pratica con i vostri familiari. I più grandi attori del Teatro hanno passato ore e ore davanti alla loro immagine.